La lucentezza dei metalli

Vi siete mai chiesti perché uno specchio restituisce la nostra immagine riflessa? Si tratta di una tipica propietà dei metalli che noi indichiamo col termine di “lucentezza”.

La tavola periodica

La tavola periodica è, ormai, nota a tutti. Tuttavia, una cosa è sapere che esiste una “tabella” in cui sono riportate le proprietà fondamentali di tutti gli elementi chimici noti, altra è conoscere i dettagli di queste proprietà tra cui va certamente annoverata la lucentezza dei metalli.

Avete sicuramente maneggiato i fogli di alluminio come quello mostrato in Figura 1A. Si usano, per esempio, per conservare gli alimenti (Figura 1B), cucinare (Figura 1C) o applicare la tintura per capelli (Figura 1D).

Figura 1. Foglio di alluminio (A) e suoi usi. Conservazione degli alimenti (B); cottura (C); applicazione della tintura per capelli (D)

Come potete vedere si tratta di un materiale caratterizzato da una certa lucentezza, ovvero dalla capacità di riflettere la luce. Come l’alluminio, anche gli altri metalli della tavola periodica (tutti quelli colorati in verde nella Figura 2) hanno la medesima caratteristica.

Figura 2. Tavola periodica con, in verde, indicazione degli elementi metallici (Fonte)
A cosa è dovuta la lucentezza?

Per poterlo spiegare dobbiamo innanzitutto comprendere come è fatto un atomo.

Struttura dell’atomo

È ben noto che un atomo è costituito da un nucleo, contenente protoni e neutroni, e da elettroni. Questi ultimi  si muovono attorno al nucleo formando una nuvola generalmente indicata come “nuvola elettronica” (Figura 3).

Figura 3. Schema di atomo. Gli elettroni, che si muovono attorno al nucleo, formano una una nuvola elettronica (Fonte)

La nuvola elettronica è piuttosto complessa. Gli elettroni non possono semplicemente “ammucchiarsi” e stare tutti assieme. A coppie di due, essi si devono disporre a distanze differenti dal nucleo e devono occupare degli spazi la cui forma geometrica è variabile. La Figura 4 mostra proprio la forma di questi spazi occupati dagli elettroni e che chiamiamo “orbitali”.

Figura 4. Forma degli orbitali atomici s, p, d, f (Fonte)
Gli orbitali di valenza

Quando combiniamo più atomi assieme per formare un sistema multiatomico complesso, in realtà stiamo combinando le varie nuvole elettroniche ognuna fatta dall’insieme di orbitali descritti in Figura 4. In genere, per comodità, quando si descrive l’interazione tra atomi in un sistema multiatomico, si trascura il contributo alla interazione da parte degli elettroni che sono più vicini al nucleo, ovvero degli elettroni che occupano la parte più interna della complessa nuvola elettronica summenzionata. Il motivo per cui viene trascurato questo contributo è intuitivo. Immaginate ogni orbitale come se (*) fosse un palloncino. La nuvola elettronica può essere pensata come se fosse un inviluppo di palloncini la cui rigidità diminuisce man mano che aumentano le sue dimensioni, ovvero man mano che gli elettroni si allontanano dal nucleo. Il palloncino che ospita gli elettroni più lontani dal nucleo (chiamato anche orbitale di valenza) è quello più facilmente deformabile (il termine tecnico è “polarizzabile”). La deformabilità dei palloncini più esterni consente la loro migliore interazione per la formazione del legame chimico.

I legami nei metalli

Quando si raggruppa un insieme di atomi di un qualsiasi metallo della tavola periodica  (come nel caso del foglio di alluminio di Figura 1), si può pensare che si formi un sistema come quello descritto in Figura 5.

Figura 5. Schema di legame metallico

In altre parole, si può pensare che gli orbitali di valenza dei singoli atomi perdano la loro identità e si combinino (grazie alla loro elevata capacità di “deformarsi”) in modo da formare un unico “contenitore” in cui si muovono tutti gli elettroni di valenza. Questo vuol dire che gli elettroni dei palloncini più esterni non appartengono più ad un singolo specifico atomo, ma diventano elettroni dell’insieme di atomi. Immaginiamo, quindi, che i nuclei (in Figura 5 indicati con pallini gialli) siano immersi in un mare di elettroni (in Figura 5 indicati con pallini azzurri).

A questo punto mi si potrebbe dire che con questa descrizione io stia violando i principi più elementari della meccanica quantistica. Infatti, poco sopra ho scritto che gli elettroni non possono ammucchiarsi, ma devono occupare, a coppie, spazi dalle forme ben precise e disporsi ad una distanza ben definita dal nucleo. Al contrario ora io sto scrivendo che si è formato un “mare elettronico” in cui tutti gli elettroni sembrano essere tutti assieme appassionatamente. Volendo essere un po’ più precisi, possiamo dire che quando le nuvole elettroniche di valenza si combinano per formare il “mare elettronico”, si realizzano, in realtà, bande energetiche differenti molto vicine tra di loro in cui gli elettroni possono “entrare” ed “uscire”   mediante acquisizione o rilascio di una minima quantità di energia.

La lucentezza dei metalli

Quando una radiazione elettromagnetica (ovvero un raggio di luce) colpisce la superficie di una lamina metallica, gli elettroni si muovono da una banda energetica all’altra passando da uno stato fondamentale ad uno eccitato. Nel momento in cui gli elettroni tornano allo stato fondamentale, emettono dei fotoni alla stessa lunghezza d’onda della luce incidente con la conseguenza che viene restituito il riflesso dell’immagine che ha emesso la radiazione luminosa.

Maurits Cornelis Escher, Mano con sfera riflettente (Fonte)

Note ed approfondimenti

(*) la locuzione “come se” viene spesso usata dai chimici per fare delle analogie tra il mondo chimico e quello quotidiano. In altre parole, nel delucidare i modelli chimici e chimico-fisici, il “come se” viene usato per generare immagini mentali che, pur non essendo corrette, consentono la comprensione qualitativa dell’argomento di cui si discute. Gli orbitali NON sono palloncini, ma li immaginiamo come tali per comodità; un elemento chimico, una molecola NON sono sferici, ma le descriviamo come tali perché conosciamo tutto di una sfera ed è più semplice definirne il comportamento sotto l’aspetto qualitativo. Quando però dobbiamo applicare la matematica per la descrizione quantitativa del modello, non possiamo più usare le immagini mentali che abbiamo generato col “come se” e dobbiamo fare delle astrazioni che, per i non addetti ai lavori, risultano poco chiare o del tutto incomprensibili. Per comprendere le astrazioni dobbiamo passare dalla divulgazione scientifica al tecnicismo scientifico che può essere appreso solo attraverso uno studio specifico e settoriale.

Il legame chimico (1) e (2)

Il legame metallico

Il binario 9 e ¾ ovvero del perché non possiamo attraversare i muri come Harry Potter

Orbitali atomici ed ibridazione

Una lezione di Rai Scienza sul legame metallico

Fonte dell’immagine di copertina:

larapedia.com. Metalli e leghe

L’origine del nome degli elementi

Vi siete mai chiesti da dove originano i nomi degli elementi? Di tanto in tanto me lo sono chiesto anche io. Quando insegnavo la chimica generale e la chimica organica, era divertente sbalordire gli studenti con aneddoti curiosi e carini. Smorza la tensione per la lezione oggettivamente pesante e consente di andare avanti con più leggerezza.

Uno degli aneddoti che mi piaceva raccontare, ancora oggi lo faccio se ne ho la possibilità, è quello relativo all’azoto.

L’azoto è un elemento molto importante in natura. E’ presente in tantissimi composti organici che assolvono a funzioni metaboliche importantissime. E’ presente nelle proteine, nel RNA, nel DNA, in molte sostanze che i chimici definiscono composti naturali e compagnia cantando.

Ma perché si chiama azoto? Il nome è stato coniato da Lavoisier (https://it.wikipedia.org/wiki/Antoine-Laurent_de_Lavoisier) in Francia: “azote”. Significa “senza vita”. Deriva dal greco in cui al termine “zotos” (che viene da zoe, vivere) si associa la alfa privativa, da cui “a-zoto”, ovvero “azoto”. Sembra un paradosso, vero? Un elemento che è fondamentale per il metabolismo, ovvero per i processi alla base della vita, porta un nome che si riferisce alla morte.

Beh, ai tempi di Lavoisier non si conoscevano certo le molecole come si conoscono oggi. Non si conosceva l’importanza di questo elemento nei metaboliti. Si sapeva però che una atmosfera privata di ossigeno provocava la morte, da cui il termine “azote” che in Italiano è diventato “azoto”.

Ma se il nome è “azoto”, perché ha simbolo “N”?
In realtà,questo elemento ha un nome con doppia etimologia. Il termine “azoto” è usato prevalentemente nei paesi non anglosassoni.

Nei paesi anglosassoni “azoto” è indicato con “nitrogen”. Il nome fu coniato nel 1790 da Chaptal (https://it.wikipedia.org/wiki/Jean-Antoine_Chaptal), un altro chimico francese, che capì che l’elemento era uno dei costituenti del nitrato di potassio, un sale, comunemente noto come “salnitro” ed usato come sapone ai tempi dei Romani. “Nitro”-“gen” vuol dire quindi “genitore” del “nitron”, laddove “nitron” è l’antico nome del nitrato di Potassio.

In definitiva benché Paperino in questa vignetta http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.… si riferisca ad un certo “nitrogeno” commettendo un errore che molti chimici ritengono grave perché in Italiano N = azoto, posso dire che, in realtà, si tratta solo di un errore veniale perché sia “azoto” che “nitrogeno” sono i nomi che possiamo attribuire all’elemento di simbolo “N” con numero atomico 7 e peso atomico 14 g/mol.

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