Chi frequenta questo blog o la mia pagina facebook sa che la mia attività di ricerca degli ultimi anni, oltre ad essere centrata sullo sviluppo della risonanza magnetica nucleare a ciclo di campo in ambito ambientale, è imperniata sulla valutazione della chimica fisica del biochar, un carbone ottenuto per degradazione termica in assenza o scarsità di ossigeno (ovvero pirolisi) di biomassa animale e vegetale. Faccio anche parte della European Biochar Certificate (EBC), una organizzazione internazionale che promuove l’uso del biochar in agricoltura e si interessa della standardizzazione delle metodiche analitiche per la valutazione delle caratteristiche chimico fisiche di tale materiale. Lo scopo ultimo è quello di suggerire una agricoltura sostenibile mediante l’uso, il riciclo e la trasformazione delle biomasse di scarto delle attività antropiche.
Alla luce di quanto appena scritto, sono felicissimo del fatto che la stampa scientifica divulgativa stia facendo da cassa di risonanza per un lavoro apparso su Nature Communications a firma di venti persone, tra cui il sottoscritto, in cui cominciano ad essere chiariti i meccanismi molecolari attraverso cui il carbone applicato ai suoli consente l’incremento della fertilità. Qui, qui, qui la notizia apparsa su alcune testate di divulgazione scientifica, mentre qui trovate il link al lavoro originale pubblicato su Nature Communications.
Biochar sì, biochar no?
Sebbene sia noto che l’uso del carbone in agricoltura consenta un aumento della produzione agricola (per esempio qui e qui), ci sono ricerche che ne demonizzano l’uso invocando la sua tossicità legata ad una presunta capacità di rilasciare idrocarburi policiclici aromatici e diossine o alla sua inerzia chimica che non consentirebbe il miglioramento della fertilità dei suoli (un libro in cui c’è una visione ecologista abbastanza spinta sull’uso del biochar è questo). In realtà, come si può leggere nella review qui, la probabilità che il carbone ha di cedere all’ambiente idrocarburi policiclici aromatici e diossine è praticamente nulla a fronte di un miglioramento delle proprietà idrauliche (qui), della struttura (qui) ed, in generale, della fertilità (qui) dei suoli.
Come funziona il biochar? In che modo promuove la fertilità di un suolo?
Nel 2013, il gruppo di ricerca di cui sono responsabile ha pubblicato un lavoro in cui è stata analizzata la dinamica dell’acqua sulla superficie di un biochar (qui). Perchè tra i tanti liquidi proprio l’acqua? Semplice. Perché l’acqua è direttamente coinvolta nei processi di nutrizione vegetale e, di conseguenza, è il mezzo attraverso cui il biochar nei suoli consente la veicolazione dei nutrienti alle piante. I risultati di questo lavoro hanno evidenziato che acqua e biochar interagiscono tra loro attraverso due tipologie di legame: da un lato legami a idrogeno non convenzionali tra il piano dei sistemi aromatici del carbone e le molecole di acqua, dall’altro legami di coordinazione tra le componenti metalliche delle impurezze inorganiche e le coppie solitarie dell’acqua (Figura 1).
La presenza di queste interazioni, associate a quelle che l’acqua forma con i soluti in essa disciolti, ha consentito di ipotizzare che la capacità che il carbone ha di assorbire e poi rilasciare gradualmente nutrienti come il nitrato sono dovute proprio alla mediazione delle molecole di acqua. Queste, mediante il loro caotico movimento, consentono ai nutrienti di penetrare nei pori della superficie del biochar; una volta lì, il nutriente solvatato rimane “agganciato” alla superficie grazie alle interazioni anzidette (Figura 2).
Se il biochar è invecchiato, la sua capacità assorbente migliora perché la chimica della superficie del biochar cambia nel tempo. Infatti, il numero di gruppi funzionali idrofilici (per esempio quelli contenenti ossigeno che si inserisce sulla superficie del biochar per effetto dell’ossidazione con l’atmosfera) aumenta con l’invecchiamento (Figura 3. Qui il lavoro in cui sono descritti tutti i dettagli sperimentali che hanno portato alle conclusioni brevemente descritte).
Un miglioramento delle capacità assorbitive/desorbitive del biochar si ottiene attraverso la funzionalizzazione della sua superficie mediante l’inserimento di un film organico usando un processo chimico che prende il nome di co-compostaggio. In parole povere, il carbone viene inserito assieme a biomassa vegetale fresca in un compostatore (ovvero un sistema che consente l’ottenimento del compost); una volta avviato il processo di degradazione ossidativa della miscela biochar-biomassa, si ottiene un carbone la cui superficie risulta più idrofilica di quella del carbone non co-compostato; la maggiore idrofilicità superficiale permette a questo materiale di intrappolare meglio i nutrienti e di funzionare meglio del carbone tal quale come ammendante dei suoli (qui il lavoro in cui si discute delle migliori caratteristiche qualitative del biochar co-compostato).
Perché è importante la comprensione dei meccanismi di funzionamento del carbone?
Delucidare le modalità con cui qualcosa funziona consente di indirizzare in modo opportuno la sintesi di nuove tipologie di materiali.
Nel caso specifico, si pongono le basi per la progettazione di nuovi ammendanti che permettono pratiche agricole sostenibili.