Sugli idrocarburi policiclici aromatici (PAH o IPA)

Quante volte abbiamo letto o sentito parlare di “idrocarburi policiclici aromatici”? Talvolta la locuzione viene indicata con gli acronimi PAH (da Polyciclic Aromatic Hydrocarbons) oppure IPA (da Idrocarburi Policiclici Aromatici). Si tratta di una classe di composti chimici che si ottiene per pirolisi (ovvero decomposizione termica in assenza o scarsità di ossigeno) di sostanza organica. Tanto per capirci: il fumo di sigaretta contiene gli IPA. Le sigarette, infatti, sono fatte da sostanza organica (la carta, il tabacco, i filtri) che quando sottoposta alle alte temperature prima subisce il processo di combustione con formazione di ceneri, anidride carbonica ed acqua, poi, man mano che il comburente (ovvero l’ossigeno) si allontana, subisce pirolisi con formazione di IPA.

In questa breve nota voglio puntare l’attenzione sulle caratteristiche strutturali degli idrocarburi policiclici aromatici e la loro tossicità.

1. Le premesse: significato di isomeria, formula chimica e struttura
1.1. Isomeria

“Isomeria” è una proprietà in base alla quale due o più composti chimici, pur avendo la stessa formula bruta, hanno differente struttura e, per questo, differenti proprietà chimico-fisiche.

1.2. Formula bruta, formula empirica e formula molecolare

La locuzione “formula bruta” si può riferire o alla formula empirica con la quale si descrive semplicemente il rapporto tra i diversi atomi che partecipano alla formazione di un composto chimico, oppure alla formula molecolare, in cui si indicano esattamente quanti atomi formano il composto in esame.

L’esempio più semplice per distinguere tra formula empirica e formula molecolare è quello dell’acqua ossigenata. La formula empirica dell’acqua ossigenata è HO, grazie alla quale si evidenzia che questo composto è fatto da idrogeno ed ossigeno nel rapporto 1:1; la formula molecolare dell’acqua ossigenata è H2O2 nella quale si evidenzia che due atomi di ossigeno sono combinati con due atomi di ossigeno.

1.3. La struttura chimica

La struttura di un composto chimico descrive il modo con cui i diversi atomi che lo compongono si dispongono nello spazio.  La Figura 1 mostra, come esempi, le diverse tipologie di formule di struttura dell’acqua ossigenata.

Figura 1. Dioverse tipologie di formule di struttura dell’acqua ossigenata (Fonte: http://www.chimicamo.org/chimica-generale/acqua-ossigenata.html)

In alto a sinistra c’è la formula molecolare dell’acqua ossigenata; in basso a sinistra c’è la formula di struttura “ball-and-stick” della stessa molecola (gli atomi in bianco sono l’idrogeno; gli atomi in rosso, l’ossigeno); in alto a destra la struttura dell’acqua ossigenata è rappresentata con il modello “space-filling“, ovvero ogni atomo è rappresentato da una sfera con il codice colore avente lo stesso significato già illustrato; in basso a destra l’acqua ossigenata è rappresentata con un modello a linee e lettere in cui le prime indicano i legami tra gli atomi rappresentati col proprio simbolo chimico.

2. Le caratteristiche degli IPA
2.1. Struttura chimica e proprietà chimico fisiche degli IPA

La Figura 2 mostra la struttura di due idrocarburi policiclici aromatici molto comuni. Si tratta di antracene e fenantrene. Entrambi hanno formula molecolare C14H10 ma formula di struttura differente. Si tratta quindi di isomeri. Per effetto della differente disposizione spaziale degli atomi di carbonio ed idrogeno, i due idrocarburi hanno proprietà chimico fisiche differenti.

Figura 2. Strutture di antracene e fenantrene

Per esempio, la temperatura di fusione alla pressione atmosferica (ovvero la temperatura alla quale la fase solida di un composto chimico è in equilibrio con la sua fase liquida) di antracene e fenantrene è:

antracene         216°C

fenantrene       94°C

In altre parole, mentre l’antracene diventa un liquido alla temperatura di 216°C, il fenantrene diventa liquido ad una temperatura molto più bassa (94°C). Questa differenza si spiega perché le molecole di antracene e fenantrene interagiscono rispettivamente con altre molecole di antracene e fenantrene attraverso interazioni deboli chiamate interazioni di Van der Waals. La struttura “non-ripiegata” dell’antracene consente un impaccamento migliore (e, quindi, interazioni più forti) rispetto a quella “ripiegata” del fenantrene. La conseguenza è che occorre una temperatura più alta (più energia termica) per liquefare l’antracene rispetto al fenantrene.

La differente disposizione spaziale degli atomi di carbonio ed idrogeno è responsabile anche della differente solubilità in acqua di antracene e fenantrene. Infatti, l’antracene ha solubilità pari a 3.7×10-4 mol/L, mentre il fenantrene pari a 7.2×10-3 mol/L. In altre parole, il fenantrene è circa 20 volte più solubile in acqua rispetto all’antracene. Dal momento che”il simile scioglie il simile“, si potrebbe argomentare che il fenantrene è più simile all’acqua rispetto all’antracene. Questa maggiore similarità è dovuta al fatto che la geometria “ripiegata” del fenantrene conferisce a quest’ultimo una maggiore polarità rispetto all’antracene col risultato di una migliore solubilità in acqua.

2.2. Struttura chimica e carcinogenicità degli IPA

All’aumentare del numero di anelli aromatici condensati (ovvero all’aumentare della complessità strutturale degli IPA) aumenta anche la carcinogenicità di questi composti ( a pagina 35 del documento a questo link, si riporta la carcinogenicità dei diversi IPA).

Più elevato è il peso molecolare degli IPA, più diminuisce la loro aromaticità e maggiore risulta la loro reattività. In particolare, gli IPA tendono a dare reazioni di epossidazione (ovvero reagiscono con l’ossigeno per formare sistemi triciclici altamente reattivi) che poi modificano la struttura a doppia elica del DNA portando a problemi nei processi di replicazione e conseguente insorgenza di tumori.

La Figura 3 mostra la reazione di epossidazione del benzo[a]pireneche produce prima un sistema eposiddico nelle posizioni 7, 8 (reazione in alto in Figura 3), seguita poi da apertura di anello (reazione centrale in Figura 3) ed ulteriore epossidazione (reazione in basso in Figura 3).

Figura 3. Reazione di epossidazione del benzo[a]pirene
 Il diolo epossidico (ovvero la molecola in basso a destra di Figura 3) è il diretto responsabile delle alterazioni strutturali del DNA. Infatti, esso può reagire con il gruppo amminico di una base nucleotidica con formazione di un legame covalente stabile che altera la doppia elica e, impedendo la corretta replicazione del DNA, porta al comportamento “impazzito” delle cellule (Figura 4).

Figura 4. Alterazione della struttura a doppia elica del DNA per effetto della reazione con il derivato diolo epossidico del benzo[a]pirene
3. Conclusioni

Questa breve disanima sugli idrocarburi policiclici aromatici è una sintesi di una delle mie lezioni di chimica del suolo. Gli incendi boschivi sono causa di immissione in atmosfera di questi contaminanti, esattamente come l’uso delle sigarette, o la cottura spinta dei prodotti alimentari (per esempio la carne o la pizza). Quando in atmosfera, questi composti (non solo quelli descritti in questa breve nota ma un insieme complesso di essi come per esempio quelli mostrati nell’immagine di copertina) possono finire nei nostri polmoni ed innescare i processi carcinogenici descritti. Certo non tutti gli individui sono soggetti a tumore. L’insorgenza dei tumori dipende non solo dalle condizioni ambientali, ma anche dalla predisposizione genetica. Questo vuol dire che “mia nonna ha sempre fumato 3 pacchetti di sigarette al giorno ed è arrivata a 90 anni” non ha alcun significato scientifico. Vuol dire solo che giocando alla roulette russa, “la nonna” è stata fortunata ed è sfuggita alla morte solo per una serie di circostanze fortuite tra cui la sua predisposizione genetica. Altri possono non essere ugualmente fortunati e subire insorgenza di tumori anche solo per aver inspirato il fumo passivo della nonna o le polveri sottili (contenenti IPA) normalmente presenti nell’atmosfera delle grandi città e dovute al traffico automobilistico.

Fonte dell’immagine di copertinahttps://ilblogdellasci.wordpress.com/tag/tartrato-di-potassio/

Le figure di Chladni e la pseudoscienza definita “cimatica”

Avete mai visto figure geometriche come quelle rappresentate in Figura 1 che vengono chiamate figure di Chladni? Belle, vero? Sapete quante volte mi sono trovato a leggere in rete delle elucubrazioni mentali (per non chiamarle in altro modo) in merito all’origine di queste figure? Addirittura c’è chi dice che sono delle rappresentazioni fisiche degli orbitali (SIC!).
Ma andiamo con ordine
Gli effetti scenografici delle figure di cui mi accingo a parlare sono oggetto di una particolare branca della pseudoscienza che va sotto il nome di cimatica. La cimatica nasce piuttosto recentemente. Nel 1967 un tale Hans Jenny, affascinato dagli esperimenti di Chladni del 1787 in merito alla propagazione delle onde nei mezzi solidi, trae delle conclusioni abbastanza arbitrarie sulla natura delle figure geometriche riportate in Figura 1 e chiamate “figure di Chladni” in onore di colui che per primo le ha studiate. Per non andare troppo per le lunghe, Jenny asseriva che le vibrazioni di tutti i materiali (fino ad arrivare alle vibrazioni atomiche) sono in grado di modellare la materia. In pratica, le frequenze delle vibrazioni sono responsabili delle forme materiali che noi conosciamo. Anche le cellule sono soggette a specifiche vibrazioni con determinate frequenze a seconda delle quali predomina una forma animale piuttosto che un’altra. Da qui è facile lo sviluppo di tutta una serie di pseudo teorie sulle vibrazioni energetiche che determinerebbero l’origine delle malattie o, in generale, dello stato di salute degli organismi viventi (un esempio di queste pseudo teorie è riportato qui  e qui).

Figura 1. Esempi di figure di Chladni
Come stanno davvero le cose?
La storia completa è che Jenny era un medico, non un fisico. Evidentemente le sue conoscenze di fisica elementare erano piuttosto povere. Inoltre, era anche un seguace delle pseudo teorie scientifiche di un tal Rudolf Steiner vissuto a cavallo tra il XIX ed il XX secolo ed autore delle teorie sull’agricoltura biodinamica di cui mi riservo di dare informazioni in un nuovo post.
Le “figure di Chladni” sono generate dal processo di vibrazione di una placca metallica su cui è disposta della sabbia. Immaginate la lastra in due sole dimensioni come nella Figura 2 (l’esempio in due dimensioni è quello della corda vibrante. Quando si pensa alla piastra metallica, si passa alle tre dimensioni).

Figura 2. Propagazione di un’onda in una corda vibrante (fonte: Wikipedia)
Se fate vibrare la lastra tra i punti 0 e 1 otterrete un’onda con una certa frequenza. Se disponete la sabbia sulla lastra, questa andrà a cadere nei punti di minima ampiezza dell’onda che sono i nodi indicati con 0 e 1 nella rappresentazione più in alto. Se bloccate la lastra a metà, ovvero mettete un dito proprio in mezzo, l’oscillazione cambia frequenza e la sabbia si disporrà nei tre nodi: i due agli estremi e quello centrale. Se provate ad inserire due altri nodi dividendo la lastra in tre, la sabbia si disporrà lungo tutti i nodi e così via di seguito. Più elevato è il numero di nodi, più complesse saranno le figure geometriche generate dalla sabbia che si dispone in queste zone in cui l’ampiezza dell’onda è nulla.
Note conclusive
La cimatica con tutte le sue teorie è una vera e propria scemenza. Non c’è nulla di sovrannaturale o di esoterico nella disposizione della sabbia su una lastra soggetta a vibrazioni a diversa intensità. Di certo le vibrazioni non hanno alcuna capacità di modellare la materia o di influenzare lo stato di salute degli individui.
A questo link un bell’esperimento che mostra le figure di Chladni: https://www.youtube.com/watch?v=1ya… (avvertenza: abbassate il volume delle cuffie o degli altoparlanti. I suoni che sentirete possono essere molto fastidiosi)
Per approfondimenti:

Più veloci del suono

Avete mai sentito un aereo superare la barriera del suono? Si sente un rumore assordante ed intorno all’aereo si forma una nuvola come quella che vedete nella foto di copertina. Volete avere un’idea sonora e visiva di quello che accade? Potete vedere il video qui sotto preso da YouTube.

Fin dal tempo delle scuole elementari ci insegnano che la velocità con cui si propaga il suono nell’aria è di circa 300 m/s. Ciò che impariamo alle superiori o nei corsi di Fisica I all’università è che il suono si propaga a velocità differenti a seconda del mezzo e della temperatura.

La tabella qui sotto mostra le diverse velocità con cui il suono si propaga nei mezzi più disparati:

Ma perché si sente il “bang” quando un aereo supera la velocità del suono? E perché si forma quella nuvola?

È tutta questione di aria e di umidità.

Un aereo è in grado di volare grazie alla forza che l’aria esercita sulle sue ali. L’aria ha una ben precisa composizione chimica, ovvero circa 79% di azoto, circa 20% di ossigeno e circa 1% di altri gas come argon, anidride carbonica, acqua, metano etc etc.  In realtà non è importante la composizione chimica dell’aria; ciò che importa è il fatto che essa sia un fluido nel quale “galleggia” l’aereo ed è il mezzo grazie al quale siamo in grado di sentire i suoni.

Le vibrazioni generate da una sorgente sonora (le nostre corde vocali, le corde di un violino, un motore in moto etc etc) si trasmettono alle molecole che compongono l’aria che sono, così, soggette a compressione. In altre parole, una sorgente sonora sposta le molecole di aria ad essa più vicine. Queste ultime a loro volta urtano e spostano le molecole di aria nelle immediate vicinanze. Questo balletto di molecole che si urtano tra loro tende ad attenuarsi all’aumentare della distanza dalla sorgente sonora. Se noi ci troviamo abbastanza vicini alla sorgente del suono, accade che le molecole di aria vadano ad urtare (ovvero comprimere) le componenti interne del nostro orecchio. Il movimento generato dall’urto tra le molecole di aria e le parti più interne del nostro orecchio viene trasformato nel suono che udiamo. Il meccanismo macroscopico con cui le onde sonore di propagano è simile a quello con cui si propagano le onde generate da un sasso lanciato in uno stagno.

Se la sorgente sonora è in movimento (per esempio un’autombulanza a sirene spiegate), le onde sonore si propagano come riportato nella parte più a sinistra della Figura 1. In altre parole, la compressione delle molecole di aria nella direzione del moto (da sinistra a destra) è maggiore che la compressione delle molecole di aria nella direzione opposta. La conseguenza è che il suono prodotto dalla sorgente in movimento è più intenso nella direzione del moto.

Figura 1. Propagazione delle onde sonore di una soriente sonora in movimento (Fonte: Wikimedia commons)

Quando la sorgente sonora (per esempio un aereo a reazione) accelera ad una velocità più alta di quella a cui viaggia il suono, si ode il bang supersonico (parte più a destra della Figura 1).

Un oggetto che viaggia più velocemente del suono genera una serie di onde di forma sferica che si muovono più lentamente dell’oggetto stesso. La dimensione delle onde cresce man mano che l’oggetto si allontana. Tutte queste onde si intersecano tra di loro. Unendo i punti di intersezione si ottiene un cono il cui vertice è l’oggetto in movimento (parte più a destra di Figura 1). Nei punti di intersezione le molecole di aria sono soggette a rapida compressione. È questa rapida compressione delle molecole di aria ad essere responsabile del forte bang che sentiamo. In realtà, sebbene a noi sembra di sentire un unico “bang”, un aereo che accelera ad una velocità più alta di quella del suono genera due bang supersonici; uno dovuto alla rapida compressione delle molecole di aria in “testa” (ovvero alla prua) dell’aereo, ed uno dovuto alla ugualmente rapida decompressione delle stesse molecole in coda all’aereo. La distanza temporale tra i due bang dipende dalla lunghezza dell’aereo: più esso è lungo più distanti tra loro nel tempo saranno i due bang.

Ma perché si forma la nuvola che si vede nell’immagine di copertina?

Ho già scritto che la rapida accelerazione della sorgente sonora ad una velocità più alta di quella del suono provoca la repentina compressione delle molecole di aria da cui il forte boato. Come ho già riportato, l’acqua è una delle componenti molecolari dell’aria. La forte compressione cui sono soggette le molecole di acqua porta alla formazione di una nube di condensazione. In altre parole, le molecole di acqua vapore nell’aria si aggregano a formare goccioline di acqua liquida.

Considerazioni conclusive

La chimica-fisica consente di spiegare quello che accade quando un aereo supersonico supera la barriera del suono. Mi scuso con fisici ed ingegneri per l’enorme semplificazione di un fenomeno che ho deciso di spiegare usando un linguaggio assolutamente non tecnico. Mi scuso anche con i medici per la semplificazione nella descrizione dei fenomeni uditivi.

Immagine di copertinahttps://mannaismayaadventure.com/2011/01/26/in-photos-readers’-best-national-geographic-images/

 

Antò, fa caldo…

Vi ricordate il famoso “Antonio, fa caldo” della pubblicità di una nota marca di té freddo?

Eccola

Mi chiederete: “ma che c’entra questa cosa col fatto che gestisci un blog scientifico principalmente dedicato alla chimica?”

Ogni scusa è buona per parlare di scienza.

In questo periodo di fine Agosto che continua a “vedere” temperature giornaliere che superano i 30 gradi, vi siete chiesti a cosa è dovuta la sensazione di calore?

Già sento gli improperi e le risate.

“Ma come? che domande fai? Fa caldo perché d’estate, ovvero nei mesi che vanno da Giugno a Settembre, l’inclinazione dell’asse terrestre è tale che l’emisfero settentrionale del pianeta riceva più luce solare e di conseguenza da noi fa caldo, mentre nell’emisfero meridionale fa freddo. Quando la faccia meridionale del nostro pianeta riceve più luce rispetto a quella settentrionale nei mesi che vanno da Dicembre a Marzo, nel mondo a testa in giù fa più caldo che nel mondo a testa in su”.

Vabbé, magari non state dicendo esattamente queste cose e vi state solo facendo una risata. Allora faccio la domanda in un altro modo: vi siete mai chiesti qual è la spiegazione della sensazione di calore a livello molecolare?

Dovete sapere che il concetto di calore può essere preso in considerazione solo quando mettete a contatto due corpi differenti. Senza il contatto non ha senso parlare di calore. Quando dite che il bicchiere di acqua è freddo, lo fate perchè state toccando il bicchiere; in altre parole, il vostro corpo entra in contatto col bicchiere di acqua ed avviene uno scambio di energia termica (ovvero calore) tra voi (corpo caldo) ed il bicchiere (corpo freddo) in modo tale che i due corpi, alla fine dello scambio, ovvero all’equilibrio, abbiano la stessa quantità di calore. Ci accorgiamo che i due corpi sono all’equilibrio (termico) perché  il parametro che misuriamo, la temperatura, diventa la stessa per i due corpi.

Chi di voi ha frequentato a vario titolo un laboratorio di chimica sí ricorderà sicuramente di uno dei primi avvertimenti del proprio docente: “non toccate mai a mani nude un pezzo di vetro poggiato su un banco; il vetro freddo non si distingue da quello caldo”. In altre parole se, inavvertitamente o meno, toccate a mani nude un oggetto di vetro di cui non conoscete la provenienza, rischiate che l’eventuale corpo caldo (il vetro appena tirato fuori dalla muffola a 200 gradi) possa scambiare calore con voi, corpo freddo, con la conseguenza di ustioni molto dolorose.

Direte voi: “ma che scemenza. Prima di toccare un qualsiasi oggetto posso avvicinare la mano e ‘sentire’ se esso è freddo o caldo, così da evitare di farmi del male”. Vero! Ma come mai riuscite a “sentire”  il calore di un corpo anche senza toccarlo? Sembra una magia, vero? Oppure poche righe più su ho scritto una scemenza.

In realtà, non ho detto una sciocchezza. Noi non viviamo nel vuoto. Anche se siamo in una landa desolata, non siamo nel vuoto. Siamo circondati da molecole dalla natura più disparata. Anche in una landa desolata siamo circondati da molecole di aria (del resto senza aria non potremmo neanche sopravvivere). Quando il vetro di cui ho parlato poco fa viene tirato via dalla muffola a 200 gradi centigradi, esso entra a contatto con un corpo freddo e con esso scambia calore. Qual è questo corpo freddo? Ma l’aria, naturalmente. In altre parole aria e vetro caldo scambiano energia termica. Quando avviciniamo la mano al vetro caldo, l’aria riscaldatasi per effetto dello scambio termico col vetro, scambia a sua volta energia termica con noi ed ecco perché riusciamo a “sentire” se il vetro è troppo caldo e può provocarci delle ustioni.

Ritorniamo ora alla simpatica pubblicità della Nestle (sì, si legge Nestle e non Nestlè, con l’accento. Quella lineetta che vedete non è altro che la gambetta allungata della “t”). A cosa è dovuta la sensazione di calore in estate? Semplicemente al fatto che i raggi del Sole riscaldano l’aria intorno a noi. L’aria calda, a contatto col nostro corpo, scambia con noi energia termica da cui “Antò, fa caldo…”.

Simpatica la chimica fisica, vero?

Per saperne di piùhttps://www.amazon.com/Four-Drive-Universe-Short-Introductions/dp/0199232369

Fonte dell’immagine di copertina: http://www.palermomania.it/tag_news.php?tag=caldo%20torrido

La chimica del whisky

Sapete cos’è il guaiacolo? Si tratta di una molecola molto semplice (Figura 1) il cui nome IUPAC (1-idrossi, 2-metossi-benzene) ci dice chiaramente essere costituita da una componente aromatica (l’anello benzenico), un gruppo ossidrilico (-OH) ed un gruppo metossilico (CH3O-).

Figura 1. Struttura del guaiacolo

Questa molecola, nella sua semplicità, è importantissima in natura. Sapete perché? È uno dei precursori della lignina (Figura 2).

Figura 2. Esempio di struttura della lignina

La lignina è una classe di  polimeri complessi presenti all’interno delle piante vascolari a cui essi conferiscono proprietà strutturali. In altre parole, i tessuti di queste piante, oltre a contenere cellulosa (Figura 3), contengono anche lignina che permette alle piante suddette di non essere flessibili (ovvero di essere rigide) e di poter crescere in altezza.

Figura 3. Fibre di cellulosa, macrofibrille, microfibrille e molecole di cellulosa (Fonte: http://slideplayer.it/slide/568946/)
Ma cosa c’entra il guaiacolo col whisky?

Oltre ad essere il precursore della lignina, il guaiacolo è anche il principale responsabile del senso di affumicato del whisky.

In giro per la rete si trovano tanti siti in cui vengono esaltate le qualità di questo prodotto ottenuto dalla fermentazione e successiva distillazione di miscele di cereali. Tutti esaltano l’aumento della fragranza del whisky quando viene  servito on the rocks, ovvero con aggiunta di ghiaccio. Solo recentemente è stata data una spiegazione chimica al perché l’addizione di acqua esalta il sapore di questa bevanda (qui il lavoro apparso su Scientific Reports il 17 Agosto 2017).

Figura 4. Comportamento del guaiacolo al crescere del contenuto di etanolo (Fonte: https://www.nature.com/articles/s41598-017-06423-5?error=cookies_not_supported)

Lo studio mediante simulazione computazionale (Figura 4) ha evidenziato che il guaiacolo può formare legami a idrogeno sia con l’acqua che con l’etanolo (anche comunemente conosciuto come alcol) naturalmente presenti nel whisky. Tuttavia, a quanto sembra, tra i due, il guaiacolo ha maggiore affinità per l’etanolo col quale interagisce più efficacemente. Quando la concentrazione di alcol è molto elevata (> 59%) il guaiacolo tende a stare quanto più lontano possibile dalla superficie del liquido. Al contrario, quando la quantità di alcol etilico scende al di sotto del 49% per aggiunta di acqua, accade che il guaiacolo, tendendo a “seguire” l’etanolo che si posiziona all’interfaccia liquido-aria per effetto della presenza di acqua, si disponga anche esso sulla superficie del liquido. Essendo più vicino alla fase aerea, la probabilità che il guaiacolo possa evaporare aumenta. La presenza di quantità maggiori di guaiacolo nella fase aerea del bicchiere che contiene whisky on the rocks, conferisce al distillato l’aroma di affumicato che a sua volta influenza il sapore della bevanda. In effetti, lo studio suggerisce che il modo migliore di imbottigliare il whisky è quello di diluirlo prima di farlo. In questo modo già all’apertura della bottiglia, il consumatore può apprezzare l’aroma della bevanda che può essere successivamente modulato mediante l’aggiunta di ghiaccio o di soda.

Quando si dice magie della chimica.

Fonte dell’immagine di copertinahttp://bigfrog104.com/why-do-you-add-water-to-whiskey/

Inizia lo spettacolo, preparate il popcorn

Vagando qui e lì tra le strade di Palermo sotto il sole di un’estate Siciliana abbastanza torrida, vado alla ricerca di notizie estive, quindi leggère, da poter proporre in questo blog. Ed ecco all’improvviso la classica bancarella che propone sacchetti e confezioni di popcorn. Mi viene in mente quando da piccolo i miei genitori compravano il mais e, dopo averlo riposto in una pentola chiusa, preparavano questa pietanza con noi ragazzini che aspettavamo lo scoppiettio tipico della formazione dei fiocchi .

Come mai i chicchi di mais scoppiano assumendo quella tipica forma a fiocco di neve che viene indicata come popcorn?

C’entra qualcosa la fisiologia del chicco di mais.

Il chicco di mais è fatto per lo più di amido. La parte più interna del chicco contiene intrappolata una piccolissima quantità di acqua. Quando il chicco viene posto a contatto di una superficie calda, la temperatura interna del chicco diventa più alta di quella di ebollizione dell’acqua. Quella piccola quantità di acqua intrappolata nella parte più interna del chicco passa dalla fase liquida a quella gassosa.
Come anche i bambini sanno, un gas, come il vapor d’acqua, tende ad espandersi. Per questo motivo, il repentino passaggio dell’acqua dalla forma liquida a quella gassosa fa esplodere il chicco con il caratteristico “pop” da cui il nome di popcorn.

Nel processo di esplosione, il chicco si comporta come un calzino rovesciato, ovvero la parte interna diventa esterna ed assume la fisionomia che tanto affascina i bambini. In pratica, l’amido, non più compresso, si espande per effetto dell’esplosione e forma il fiocco. Se ci sono delle microfratture nel nocciolo del chicco di mais, l’acqua vapore fuoriesce gradualmente e non si ottiene alcun fiocco. Ecco perché in fondo alla padella in cui prepariamo il popcorn si può trovare qualche chicco che non si è trasformato in fiocco: si tratta di chicchi che contengono al loro interno delle microfratture che non gli consentono di esplodere.

https://youtu.be/9QE2E9cT7SM

Vi starete sicuramente chiedendo da dove vien fuori questa informazione. Ebbene, nel 2015 un gruppo di ricerca Francese pubblica un lavoro dal titolo “Popcorn: critical temperature, jump and sound” che potete trovare qui. In questo lavoro, gli autori descrivono una serie di filmati al rallentatore che ha consentito loro di spiegare un fenomeno su cui fino ai giorni nostri aleggiava ancora un alone di mistero.

Per saperne di più

La scienza messa a nudo

Fonte della foto di copertina : Fir0002/Flagstaffotos da Wikimedia commons

Il filmato è preso dal materiale supplementare del lavoro che trovate qui

Chimica ed archeologia: il fuoco greco

Avete mai sentito parlare del fuoco greco? Si tratta di un’arma micidiale usata per la difesa di Costantinopoli, l’odierna Istanbul, contro gli attacchi di Arabi, Bulgari ed Avari.

Fonti antiche riportano non solo della potenza distruttrice di tale arma, ma anche del terrore che essa suscitava nella mente dei nemici. Infatti, la peculiarità di quest’arma era il suo enorme potere detonante, l’infiammabilità, l’impossibilità di spegnerlo con l’acqua, il fatto che sembrava bruciare anche l’acqua e la sua tossicità. Tutte queste caratteristiche assieme generavano terrore e, si sa, una battaglia si vince anche e soprattutto col terrore, ovvero spaventando i nemici che sono, quindi, portati a combattere meno energicamente.

Ma non è questa la sede per una digressione storica o psicologica. Qui voglio solo puntare l’attenzione sulla chimica del fuoco greco.

Come era fatto?

In realtà la ricetta del fuoco greco non è nota esattamente. Tuttavia, fonti antiche riportano che esso fosse una miscela di calce viva, salnitro, zolfo e nafta/pece. Quelli che leggete sono ingredienti noti fin dall’antichità. Anche gli antichi Romani conoscevano questi prodotti. La nafta/pece era oltremodo nota in Oriente ed a Costantinopoli, in particolare, che deteneva il potere proprio sulle terre in cui questo prodotto maleodorante era particolarmente facile da trovare.

Ma veniamo alla chimica del funzionamento del fuoco greco.

La calce viva è ossido di calcio (CaO) che a contatto con l’acqua porta alla formazione di idrossido di calcio con una reazione fortemente esotermica:

CaO + H2O = Ca(OH)2 + E

Il calore (E) generato dalla reazione anzidetta serve per innescare la reazione di degradazione del salnitro, ovvero del nitrato di potassio (KNO3) anch’esso ben noto nell’antichità, secondo lo schema:

2KNO3 + E = 2KNO2 + O2

L’ossigeno prodotto da questa reazione, assieme al calore generato dalla reazione di formazione dell’idrossido di calcio, innesca la combustione della nafta/pece secondo lo schema:

CnHm + (n + m/4)O2 = nCO2 + (m/2)H2O

La nafta/pece è una miscela di idrocarburi (CnHm) più leggera dell’acqua ed immiscibile in essa. Questo vuol dire che non solo la nafta/pece galleggia sull’acqua, ma anche che essa si spande sulla superficie dell’acqua ed una volta a fuoco, le fiamme non possono essere spente mediante l’uso di acqua.

L’alta temperatura generata sia dalla reazione della calce viva  con l’acqua che dal processo di combustione della nafta/pece, innesca la reazione di ossidazione dello solfo ad anidride solforosa (SO2). Questa a contatto dell’acqua genera acido solforoso (H2SO3) che è particolarmente tossico:

S + O2 = SO2

SO2 + H2O = H2SO3

Gli alchimisti Bizantini dovevano essere veramente dei fini conoscitori della natura e dell’uomo per aver ideato un’arma di distruzione di questa portata la cui temibilità è riconosciuta ancora oggi

Per saperne di più:

http://tutto-sapere.blogspot.it/2015/09/sul-fuoco-greco.html

http://www.liutprand.it/articoliMondo.asp?id=446

http://www.medioevouniversalis.org/phpBB3/viewtopic.php?f=11&t=156#p6883

pH. Il suo significato nei sistemi complessi (Parte I)

Quanti di voi sanno che cos’è il pH? Stiano zitti i chimici, i periti chimici e tutti coloro che hanno studiato, ad un qualsiasi livello, la chimica.

Bene. Mi perdoneranno tutti coloro che hanno studiato o studiano la chimica, ma devo dare la definizione di pH  a tutti coloro che non hanno idea, se non vaga, di cosa significhi questa parola.

Non è una parola magica; non è neanche un rito magico di carattere esoterico. Si tratta semplicemente di un modo che i chimici usano per riportare quella che è la concentrazione di ioni idrogeno (H+) in una soluzione acquosa. Mi diranno i chimici più estremi che il pH si può valutare anche per sistemi organici. Ma io non voglio essere estremo e mi attengo alla chimica più tradizionale, per cui mi fermo al fatto che la misura del pH è quella che si fa per le soluzioni acquose.

Il pH è il logaritmo in base 10 dell’inverso della concentrazione idrogenionica:

Anche la casalinga di Voghera sa che se il pH è inferiore a 7 si parla di sistemi acidi; se il pH è superiore a 7 si parla di sistemi basici; se il pH è proprio 7, allora si parla di sistemi neutri. Il problema è che, al di fuori del contesto chimico, le parole “acido”, “base” e “neutro” sono prive di significato. Ad usare in modo improprio termini che hanno un significato ben definito nel linguaggio scientifico ci si mettono anche i giornalisti. Per esempio cliccando qui si apre una pagina di Repubblica.it in cui si legge che una donna è stata aggredita ed è stata costretta a versarsi addosso della soda caustica. Per effetto di questa aggressione la donna ha subito ustioni da “acido”. Non ci credete? Allora cliccate sul link anzidetto oppure leggete la Figura 1 in cui ho evidenziato l’incongruenza tra “soda caustica”, che è una base, e “acido”, che nell’opinione comune è qualcosa che fa male.

Figura 1 Nell’opinione comune qualsiasi sostanza faccia male è considerata un acido. La notizia riportata qui è tratta da Repubblica Vicenza

Ma veniamo al punto principale di questa nota.

L’equilibrio di dissociazione dell’acqua si può scrivere in questo modo:

Questo equilibrio è governato da una costante alla quale è stato dato il nome di “prodotto ionico dell’acqua” che ha la forma:

Il valore del prodotto ionico dell’acqua è 1.0 x 10-14 M2 quando la temperatura è 25 °C. È facile calcolare il pH al punto di neutralità, ovvero quando la concentrazione degli ioni idrogeno è uguale a quella degli ioni ossidrile. Al punto di neutralità il valore di pH è 7.

Ciò che in genere molto spesso si dimentica è che le informazioni contenute nelle righe precedenti sono valide solo ed esclusivamente alla temperatura di 25 °C. Infatti, i valori delle costanti di equilibrio (ed il prodotto ionico è una costante di equilibrio) dipendono dalla temperatura alla quale si ha l’equilibrio chimico. La Figura 2 mostra come cambia il prodotto ionico dell’acqua al variare della temperatura.

Figura 2 Variazione del prodotto ionico dell’acqua al variare della temperatura

La Figura 3, invece, fa vedere il cambiamento del valore del pH in funzione della temperatura. Più è alta la temperatura più si abbassa il valore del pH relativo alla condizione di neutralità come conseguenza dell’indebolimento dei legami covalenti tra ossigeno ed idrogeno nell’acqua. A 100 °C, il valore del pH all’equilibrio è circa 6.1. Questo valore non indica acidità, bensì neutralità a quel valore della temperatura.

Figura 3 Variazione del pH dell’acqua pura con la temperatura

Ciò che è valido per l’equilibrio di dissociazione dell’acqua è valido per tutti i tipi di equilibrio. Per esempio, la dissociazione dell’acido acetico in acqua segue l’equilibrio:

La costante di equilibrio ha la forma:

Il valore della ka a 25 °C è 1.75 x 10-4 M. Da un lavoro pioneristico del 1933, si ricava il grafico di Figura 4 che mostra la variazione del valore della costante acida dell’acido acetico al variare della temperatura nell’intervallo 0-60 °C.

Figura 4 Variazioni con la temperatura della costante di dissociazione dell’acido acetico

Utilizzando valori differenti per le concentrazioni pre-equilibrio di acido acetico, è facile ricavare il grafico di Figura 5 che mostra come cambia il valore del pH nelle condizioni di equilibrio al variare della temperatura.

Figura 5 Variazione del pH all’equilibrio per la dissociazione dell’acido acetico a diverse concentrazioni di partenza e nell’intervallo di temperatura 0-60 °C

In sintesi, il valore del pH di una qualsiasi soluzione acquosa dipende da numerosi fattori tra cui: natura e concentrazione del soluto e temperatura del sistema.

Quando si considerano sistemi complessi in cui l’equilibrio acido/base è regolato dalla presenza di più coppie acido/base differenti, oltre alla temperatura, bisogna tener conto anche degli equilibri di dissociazione multipli. Per esempio, la valutazione del pH all’equilibrio per soluzioni di acido fosforico (H3PO4) va fatta considerando le seguenti condizioni:

Ad ognuno degli equilibri descritti è associata una costante il cui valore cambia in funzione della temperatura. Si capisce, quindi, che la valutazione del pH all’equilibrio diventa sempre più difficile all’aumentare della complessità del sistema.

Anche la presenza di sali altera i valori delle costanti di equilibrio. Per esempio la costante acida del secondo equilibrio dell’acido fosforico risente della forza ionica come indicato in Figura 6.

Figura 6 Variazioni della costante ka2 dell’acido fosforico in funzione della forza ionica. Le serie da A ad E indicano soluzioni di acido fosforico contenenti sali differenti

Riassumendo, il pH all’equilibrio per sistemi complessi contenenti coppie acido/base di natura differente dipende da natura del soluto, concentrazione del soluto, temperatura e forza ionica.

 

Fonte dell’immagine di copertina: http://alcyonitalia.com/items?key=_-57&keyType=I

Meccanismo di Grotthuss

Avete mai sentito parlare del meccanismo di Grotthuss? In genere, sono pochi a conoscere questa locuzione, anche tra i chimici. A cosa ci si riferisce?

Si parla di acqua e del modo con cui diffondono gli ioni ioni H+ (ione idrogeno o idrogenione) e OH (ione ossidrile o ossidrilione) all’interno del sistema acqua.

E’ noto che un acido in acqua dà luogo al seguente equilibrio:

che può essere spostato verso i reagenti o verso i prodotti a seconda della forza dell’acido stesso.

Allo stesso modo una base in acqua dà un equilibrio descrivibile secondo la seguente equazione chimica:

anche esso spostato a destra (verso i prodotti) o a sinistra (verso i reagenti) a seconda della forza della base.

La stessa acqua dà luogo ad un equilibrio di autoprotolisi che può essere descritto così:

Ciò che in genere si insegna agli studenti del primo anno dei corsi di laurea scientifici in cui si studia la chimica è che tutti gli ioni in soluzione acquosa sono solvatati, ovvero sono circondati da un certo numero di molecole di acqua. Anche gli ioni H+ e OH sono solvatati.

La struttura contenente il minimo numero di molecole di acqua per l’idrogenione e l’ossidrilione è:

In altre parole, lo ione H ha formula minima  H9O4+ mentre lo ione OH ha formula minima H7O4 .

I legami tratteggiati indicano interazioni di carattere elettrostastico. Sono i legami a idrogeno.

Quando si parla di interazioni elettriche si pensa sempre ad interazioni che si realizzano tra cariche dello stesso segno che si respingono o cariche di segno opposto che si attraggono. Nel caso specifico delle interazioni tra l’idrogenione e le molecole di acqua o l’ossidrilione e le molecole di acqua, l’interazione si stabilisce tra la carica positiva dell’idrogenione e le cariche negative presenti sugli atomi di ossigeno delle molecole di acqua; tra la carica negativa dell’ossidrilione e le cariche positive localizzate sugli atomi di idrogeno delle molecole di acqua.

I legami a idrogeno anzidetti, in realtà, non sono esclusivamente di natura elettrostatica. Esiste un altro modo per descriverli. Si possono prendere in considerazione gli orbitali molecolari. In altre aprole, si può dire che uno degli orbitali contenenti gli elettroni di non legame (ovvero una coppia solitaria) dell’atomo di ossigeno di una molecola di acqua, si combina con l’orbitale povero di elettroni dello ione idrogeno per la formazione della specie chimica  H3O+ . Quest’ultima a sua volta è caratterizzata da una vacanza elettronica (ovvero una carica positiva) delocalizzata sull’intera struttura, o meglio sui tre atomi di idrogeno legati all’ossigeno centrale. Una seconda molecola di acqua può interagire con la specie H3O+ attraverso la combinazione di un orbitale molecolare che contiene una delle coppie elettroniche solitarie dell’atomo di ossigeno con l’orbitale vuoto di uno degli atomi di idrogeno dello ione H3O+ . Queste interazioni, di natura covalente, si realizzano anche con gli altri atomi di idrogeno dello ione H3O+ .

Un discorso analogo va fatto per quanto riguarda l’interazione tra lo ione ossidrile e le molecole di acqua. La differenza rispetto a quanto accade tra acqua ed H3O+ è che nel caso dell’ossidrilione, l’orbitale ricco di elettroni è quello dello ione OH mentre quello povero di elettroni è l’orbitale presente negli atomi di idrogeno delle molecole di acqua.

Considerando quanto appena detto, ne viene che nel legame

può avvenire lo scambio

Ovvero quello che prima era un legame covalente diventa legame a idrogeno; quello che prima era un legame a idrogeno diventa legame covalente.

Quando lo scambio predetto si realizza sull’intera rete di legami a idrogeno del sistema acquoso, si ottiene la diffusione della carica positiva all’interno dell’acqua. La figura qui sotto chiarisce il movimento della carica elettrica come conseguenza dello scambio di cui si è parlato fino ad ora.

 

Un discorso analogo si può fare per la diffusione dello ione ossidrile all’interno della rete dei legami a idrogeno con le molecole di acqua:

Conclusioni I

Alla luce di quanto indicato, si evince che la diffusione degli ossidrili e degli idrogenioni in acqua non segue solo un meccanismo basato sul gradiente di concentrazione, ma anche quello fondato sullo scambio chimico conosciuto come meccanismo di Grotthus, dal nome del chimico Tedesco che per primo descrisse questo fenomeno che può essere valutato sperimentalmente attraverso tecniche di spettroscopia e conduttimetria.

Conclusioni II

Come si legge in questa “pillola di scienza”, la chimica può risultare veramente complessa se non si possiede padronanza con un certo tipo di linguaggio e con un certo modo di pensare. Nel rileggere questa nota mi sono reso conto di non aver utilizzato un linguaggio elementare. Me ne scuso con i miei lettori meno addentro al linguaggio chimico. Non sempre è facile fare lo “storytelling” di argomenti scientifici, specialmente quando questi necessitano di conoscenze di base non proprio banali.

Il lettore più curioso potrebbe chiedersi se questo meccanismo abbia una qualche utilità pratica oltre al piacere intellettuale di aver apportato una conoscenza di base al nostro bagaglio culturale. Ebbene sì. Questo meccanismo può spiegare la cinetica degli ioni (in questo caso H+ e OH ) nelle matrici ambientali come suoli ed acque. La dinamica degli ioni nei suoli è direttamente correlata alla fertilità. Come conseguenza, approfondire i meccanismi con cui le specie chimiche si “muovono” all’interno del suolo può aiutare a comprendere in che modo possiamo agire non solo per migliorare la fertilità dei suoli, ma anche per il recupero di ecosistemi stressati da attività agricole intensive necessarie alla nostra produzione alimentare.

Note e considerazioni

Gli orbitali molecolari che contengono le coppie solitarie degli atomi di ossigeno dell’acqua sono indicati come HOMO, ovvero “Highest Occupied Molecular Orbital”, orbitale molecolare a più alta energia occupato. Quelli non occupati presenti sugli atomi di idrogeno sono indicati come LUMO, ovvero “Lowest Unoccupied Molecular Orbital”, orbitale molecolare a più bassa energia non occupato.

Per saperne di più

La conduttanza ed il meccanismo di Grotthuss

La chimica dello ione idrogeno

Fonte dell’immagine di copertinahttp://www.chimica-online.it/download/legame-a-idrogeno.htm

Perché le dita raggrinziscono quando restano troppo tempo in acqua?

Quante volte vi è capitato di restare troppo tempo in acqua? E quante volte avete notato che uscendo dal bagno avete le punte delle dita raggrinzite? Vi siete mai chiesti perché? E vi siete mai chiesti qual è il vantaggio evolutivo che possiamo avere da una cosa del genere?

Sembra quasi banale, ma solo nel 2013 è stato pubblicato un lavoro serio in merito a questa questione. Quindi, non possiamo dire che le informazioni che sto per dare siano troppo vecchie. Si tratta di qualcosa che è stato spiegato solo ieri. Qui il link.

Veniamo al punto.

La Figura 1 mostra l’anatomia della nostra pelle. Fino a qualche anno fa, si riteneva che il raggrinzimento delle dita fosse dovuto a processi osmotici a carico dello strato corneo più esterno dell’epidermide. In realtà, il raggrinzimento è dovuto ad una riduzione del volume dello strato “polposo” dell’epidermide ed è controllato dal nostro sistema nervoso.

È facile dimostrare che l’aumento del numero di grinze sulla pelle corrisponde ad un aumento di area superficiale della stessa. Ho già riportato una dimostrazione di questo tipo per altri sistemi, ma la tipologia di ragionamento si applica anche per superfici come la pelle che raggrinzisce.

Un elevato valore di area superficialedella pelle sulla punta delle zampette dei gechi spiega, per esempio,  le loro caratteristiche anti-gravitazionali.

Figura 1 Anatomia della pelle. (Fonte: http://health.howstuffworks.com/skin-care/information/anatomy/skin1.htm)

Infatti, grazie alla loro elevata area superficiale, le dita dei gechi sono in grado di realizzare delle interazioni di Van derWaals molto forti con le superfici con cui vengono a contatto. Queste forze di attrazione sono così intense che riescono a vincere la forza peso che tenderebbe a spingere il geco verso la superficie terrestre.

L’aumento di area superficiale delle dita umane, conseguente al raggrinzimento per immersione prolungata in acqua, ha un significato evolutivo preciso secondo i ricercatori della Newcastle University. A quanto pare abbiamo conservato questa caratteristica perché ci serve per poter usare le mani, senza che gli oggetti ci scivolino, in condizioni di elevata umidità o quando siamo sott’acqua. L’aumento di area superficiale, dovuto agli impulsi nervosi che consentono la diminuzione del volume della polpa epidermica, aumenta la capacità di presa grazie all’intensificarsi delle forze di interazione superficiale tra le nostre dita e ciò che afferriamo.

Non c’è che dire. I fenomeni naturali sono sempre affascinanti

Fonte dell’immagine di copertina: https://www.themarysue.com/water-wrinkles-purpose/

Share