Parliamo di cattiva scienza attraverso un ennesimo caso di frode scientifica.
Il mondo scientifico è molto attraente perché consente una enorme libertà di pensiero. Chiunque abbia voglia e sia sufficientemente curioso può lavorare per rispondere alle proprie domande su ciò che ci circonda [1, 2].
La Scienza – non a caso con la maiuscola – sfrutta poche e semplici regole che vengono identificate sotto il nome di “metodo scientifico” (Figura 1). La forza del metodo è legata al fatto che tutti, ma proprio tutti, possono accedere ai dati sperimentali e confutare o migliorare le ipotesi/teorie che vengono formulate. E’ accaduto con Galileo Galilei, con Newton, con Lavoisier fino ad arrivare ad Einstein, Schoeredinger, Heisenberg, Natta, Rubbia, Gallo etc. etc. etc.
Nel villaggio globale in cui ci troviamo a vivere ed in cui l’aspirazione predominante sembra essere l’ottenimento del massimo profitto col minimo sforzo, anche la scienza – questa volta con la minuscola – risente di una mentalità commerciale in base alla quale trae beneficio – in termini di “potere” accademico e, quindi, di indirizzo della ricerca presente e futura oltre che della vita e della morte scientifica di tante persone – non chi, in generale, si occupa di far progredire le conoscenze umane con puro spirito di avventura, ma chi riesce a dimostrare in tempi brevi che quanto studia ha applicabilità immediata. In linea di principio, non ci sarebbe nulla di male: si fa ricerca, si pubblica, si riceve gratificazione dal fatto che il proprio lavoro riceve citazioni. Ricevere gratificazioni in tempi brevi non è male considerando quelli che secondo me sono i motivi che spingono ognuno di noi a impelagarci nella ricerca scientifica [2]. Anche se si viene citati perché sono state prese “cantonate” va bene, sebbene non faccia molto bene al proprio ego. Anche le “cantonate” servono per il progresso delle conoscenze [3].
Il corto circuito si ottiene quando l’aspirazione al “potere” fine a se stesso – tipico dei mediocri – conduce i ricercatori ad escamotage non per migliorare la qualità del proprio lavoro, ma per ottenere vantaggi attraverso inganni e sotterfugi, ovvero raggirando quelle che sono le regole basilari di fiducia e cooperazione alla base del metodo scientifico.
Ci sono vari modi in cui i mediocri tentano di aggirare le regole del metodo scientifico. Ne ho descritti alcuni nei riferimenti [4-6]. E’ di queste ore, tuttavia, la notizia di un altro tipo di scorrettezza che è stato indicato come “cartello delle citazioni” (Figura 2) [7].
Figura 2. La cattiva condotta scientifica che ha dato luogo ad un “cartello delle citazioni” denunciato dalla European Geoscience Union (Fonte dell’immagine è il rif. [7])
Come funziona questo “cartello” di cattiva scienza?
Faccio un esempio molto semplice. Conduco una ricerca; ottengo quelli che per me sono risultati innovativi che ritengo degni di essere comunicati alla comunità scientifica di cui faccio parte; scrivo un rapporto in cui descrivo i motivi che mi hanno spinto a studiare ciò che mi accingo a comunicare; riporto il modo con cui ho cercato di rispondere alla mia domanda; traggo le mie conclusioni; invio il mio studio ad una rivista che ritengo più adatta a ricevere la mia comunicazione. A questo punto aspetto comunicazione dall’editor-in-chief della rivista in merito a 1. corretta ricezione dello studio, 2. valutazione del mio lavoro da parte di revisori anonimi che hanno il compito di valutare la congruenza dei dati sperimentali con le ipotesi e le conclusioni che ho descritto, 3. decisione definitiva dell’editor-in-chief con possibilità di pubblicazione dello studio “as it is” (ovvero senza alcuna modifica), “with minor revisions” (ovvero con qualche piccola modifica formale, ma non sostanziale), “with major revisions” (ovvero con modifiche sostanziali perché i revisori anonimi hanno riscontrato delle incongruenze).
FINO AD ORA TUTTO PERFETTO. DOVE È L’INGHIPPO CREATO DA QUESTO ENNESIMO EPISODIO DI CATTIVA SCIENZA?
Uno dei parametri che fanno l’eccellenza di una rivista è il numero di lavori pubblicati sulla stessa e che sono in grado di avere un forte impatto sulla comunità scientifica di riferimento. Questo parametro è quello che viene conosciuto come “impact factor” (IF). Più alto è il valore dell’IF, più elevato è il prestigio scientifico di una certa rivista. L’impact factor della rivista cresce nel tempo abbastanza lentamente. E’ raro che possa “saltare” da un valore basso ad uno elevatissimo. E’ capitato, ma si tratta di casi eccezionali come quello di riviste in cui vengono pubblicati per la prima volta lavori rivoluzionari che lasciano traccia e raggiungono le migliaia di citazioni in pochissimo tempo (Figura 3).
Figura 3. Variazione dell’impact factor di due riviste scientifiche. Si tratta di Nature (in blu) e PlosOne (in arancione). Il valore dell’impact factor è influenzato da pochi lavori molto citati in tempi relativamente brevi. (Fonte)
La Figura 4 mostra la crescita dell’impact factor di una rivista (Land Degradation and Developments) dal 1997 al 2015. I valori dell’IF oscillano di poco e mediamente crescono di poche unità (0.2-0.5 e simili) fino al 2013. Dal 2013 al 2014 c’è un incremento di 1.03, mentre dal 2014 al 2015 l’incremento è di 5.1. E’ possibile che tra il 2012 ed il 2014 (l’IF si calcola sul numero di citazioni dei tre anni precedenti a quello preso in considerazione) sia stato pubblicato un lavoro (o pochi lavori) di carattere eccezionale che ha ricevuto tantissime citazioni. In altre parole, è possibile che uno o più studi pubblicati sulla rivista siano stati così innovativi da aver avuto un fortissimo impatto sulla comunità scientifica di Soil Science che fa capo a tale rivista.
Figura 4. Variazione dell’impact factor di Land Degradation and Developments dal 1997 al 2015 (Fonte dell’immagine è il rif. [8])
A seguito di una denuncia anonima di questo episodio di cattiva scienza in cui un tale “Akhenaten McDonald” (Figura 2) riporta di scorrette pratiche scientifiche, la EGU, la società scientifica a cui fa capo la rivista LDD incriminata, ha effettuato una indagine i cui risultati si possono leggere nei riferimenti [7] e [8]. E’ emerso che l’editor in chief di LDD (ora rimosso per violazione del codice etico) nei tre anni (2013-2016) in cui è stato in carica ha imposto agli autori dei lavori inviati all’attenzione delle riviste di cui egli era in qualche modo responsabile, la citazione di un totale di ben 622 lavori. Questi suggerimenti hanno contribuito non solo all’incremento dell’IF osservato in Figura 4 per l’anno 2015, ma quasi certamente anche all’incremento del suo personale h-index. Quest’ultimo è un parametro personale che quantifica l’impatto del singolo ricercatore sulla sua comunità scientifica di riferimento; è simile all’IF, ma si riferisce alle persone, non alle riviste.
Non ho bisogno di tradurre quanto ricopio dal riferimento [8]:
“The main tool of this “citation cartel” is the “coercive citation”: these editors (sometimes even acting as reviewers) are systematically requesting to authors the addition of some references in their manuscripts. This “recommendation” is targeted to selected journals and selected papers, irrespective of its usefulness”.
CONCLUSIONI
E’ questo atteggiamento furbesco sintomo di cattiva scienza e che elude il rapporto di fiducia tra scienziati e, di conseguenza, tra scienziati e pubblico che innesca quella sfiducia nella scienza di cui, purtroppo, è pregno il web.
Gli individui che si comportano in questo modo NON sono miei colleghi; non sono colleghi di nessuno degli scienziati (per fortuna, sono la maggioranza) che cercano di fare il proprio lavoro con passione ed abnegazione.
Parliamo di Chimica organica e della struttura del Carbonio.
Esordisco ringraziando il Dr. Luca Minati per aver condiviso questa chicca nella sua bacheca.
Dal 2006 al 2015 ho insegnato la chimica organica all’Università degli Studi di Palermo. Una delle cose di cui mi raccomandavo con gli studenti – ma devo dire che ancora lo faccio, sebbene adesso io insegni la chimica del suolo – è di contare bene il numero di legami intorno agli atomi di carbonio perché il carbonio non può formare più di quattro legami. Insomma è tetravalente.
Sì è vero, recentemente è stato scoperto un carbonio esavalente [1], ma si tratta di un caso particolare e comunque l’esavalenza non è la caratteristica tipica del carbonio coinvolto nelle molecole di interesse biologico.
Angewandte Chemie International Edition è uno dei giornali del settore chimico più quotato. Avere un lavoro pubblicato su questa rivista è uno degli obiettivi dei chimici che lavorano nel mondo della ricerca.
Ebbene anche gli editors e i reviewers delle riviste quotate in merito alla chimica organica possono avere delle defaillances.
La figura a corredo di questa nota è presa dalle Supplementary Information del lavoro: Cheng, Wang (2016) Hydrogel-Assisted Transfer of Graphene Oxides into Nonpolar Organic Media for Oil Decontamination, Angew.Chem. Int.Ed. 2016, 55,6853 –6857. Il lavoro lo trovate nel riferimento [2], mentre le Supplementary Information nel rifermiento [3].
Cosa si vede in questa figura? La bellezza di quattro atomi di carbonio pentavalenti.
Ahi, ahi, ahi! Come è potuto accadere? Devo dire che stavolta non solo gli autori di questo lavoro, ma anche i reviewers e gli editors di questa prestigiosa rivista sono rimandati alla prossima seduta dell’esame di chimica organica.
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