Non stiamo vivendo un’avventura del Dr. Who e nemmeno siamo in un episodio di Star Trek. I cristalli temporali esistono per davvero.
Un cristallo è un sistema solido in cui le singole componenti (molecole, atomi o ioni) occupano delle posizioni spaziali ben definite che si ripetono periodicamente nelle tre dimensioni dello spazio cartesiano (indichiamole per semplicità con xyz).
L’unità strutturale più piccola la cui trasposizione nello spazio dà luogo ai cristalli si chiama cella unitaria. Se un materiale è formato da celle orientate tutte nello stesso modo, viene identificato come monocristallino; se le celle sono orientate in più direzioni diverse, viene indicato come policristallino.
Se il concetto di cristallo si riferisce alla geometria spaziale “ordinata” di un sistema solido, cosa sono i cristalli temporali?
Wilczek, propone l’esistenza di cristalli, ovvero di materiali solidi, il cui “ordine” si estende non solo nelle tre dimensioni spaziali, ma anche in quella del tempo. Egli li chiama “cristalli temporali”.
Facciamo un esempio semplice cercando di usare un linguaggio quanto meno tecnico possibile.
Tutti sanno che la corrente elettrica è dovuta al movimento degli elettroni all’interno di un filo metallico. Durante il loro spostamento, gli elettroni incontrano una resistenza dovuta alla presenza dei nuclei degli atomi che compongono il filo. Se, però, il filo viene immerso in un gas liquido ad una temperatura vicina allo zero assoluto (- 273 °C), i movimenti vibrazionali dei nuclei si oppongono meno efficacemente agli elettroni consentendo a questi ultimi una sòrta di “moto perpetuo”.
La circolazione degli elettroni in una spira (che in linguaggio tecnico si chiama solenoide) immersa in elio liquido consente di generare un campo magnetico permanente che può essere usato per diversi scopi. Uno di questi è la risonanza magnetica nucleare. Essa può essere usata sia per ottenere spettri per l’identificazione delle caratteristiche strutturali delle molecole, che per ottenere immagini per scopi diagnostici.
Un solenoide immerso in elio liquido, grazie alla sua capacità di condurre la corrente senza resistenza, si chiama superconduttore.
In un esperimento mentale, Wilczek suggerisce che se si inducono delle interazioni nelle particelle di un solenoide superconduttore, senza che venga persa la proprietà di superconduzione, si può formare un nuovo stato della materia che egli chiama “solitone”. I solitoni, ovvero gli aggregati delle particelle suddette, sono in grado di oscillare periodicamente in modo tale che dopo un certo tempo (indichiamolo con t) essi ritornano nella loro posizione di partenza. Si realizza in t ciò che di solito siamo abituati a vedere in xyz.
Cosa vediamo quando osserviamo un sistema cristallino? Vediamo semplicemente una sequenza di questo tipo: ABCDABCDABCD…
ABCD è la cella cristallina. Essa è dotata di una certa forma. Per esempio, in modo semplicistico, si può trattare di un tetraedro. Il tetraedro si ripete nello spazio conferendo al materiale solido quella che noi definiamo struttura cristallina.
Se ora pensiamo che ABCD è un solitone, ovvero un aggregato di particelle di un superconduttore, possiamo dire che esso ha una proprietà particolare: è in grado di oscillare nel tempo, ovvero di muoversi, in modo tale che dopo ogni periodo t lo si ritrova di nuovo nella sua posizione. Si realizza quindi ABCDABCDABCD… in cui lo sviluppo non è più nello spazio xyz, ma nel tempo t.
L’esperimento mentale di Wilczek è diventato realtà. L’8 Marzo di quest’anno (2017) è stata pubblicata su Nature la realizzazione dei cristalli temporali [2]. Un gruppo di ricerca Statunitense ha generato un solitone fatto di Itterbio che ha mostrato le proprietà “cristallografiche” descritte da Wilczek.
Le frodi scientifiche ovvero quando la scienza produce le “bufale”
La “scienza” è un complesso corpo di conoscenze attraverso le quali si cerca di comprendere i meccanismi alla base del comportamento del mondo nel quale noi ci muoviamo. Essa si fonda su delle regole precise che costituiscono quello che viene comunemente indicato come “metodo scientifico”.
Semplicisticamente, il metodo scientifico consiste nell’osservazione dei fatti, nella formulazione di ipotesi che possano spiegare i fatti osservati, nell’usare l’ipotesi per predire il comportamento di ciò che si osserva, nel riprodurre l’osservabile per capire se l’ipotesi è verosimile oppure no, nel rigettare l’ipotesi se essa viene falsificata dagli esperimenti condotti per comprenderne la validità.
La solidità del binomio “scienza/metodo” si fonda sulla onestà intellettuale di tutti gli “attori” che sono chiamati alla costruzione delle conoscenze scientifiche. La cattiva condotta scientifica, ovvero la disonestà intellettuale, si realizza quando:
1. Dati e risultati sperimentali vengono fabbricati ad hoc
2. Dati, procedure sperimentali e macchinari vengono manipolati scientemente per cambiare od omettere volutamente parte delle prove ottenute
3. Idee, dati, risultati sperimentali e spiegazioni altrui vengono usati consapevolmente senza le opportune citazioni delle fonti
4. La documentazione atta alla verifica della validità delle ipotesi formulate viene scientemente tenuta nascosta o, peggio ancora, distrutta.
Non viene considerato come “cattiva condotta scientifica” l’involontario errore commesso nella realizzazione degli esperimenti e nella interpretazione degli stessi.
Il cattivo comportamento di pochi elementi oltre a generare riprovazione in tutti coloro che sono assetati di conoscenza, può indurre la costruzione di una pseudo scienza che, facendo leva sul “confirmation bias”, è in grado di scatenare orde di fanatici che pensano di poter apportare contributi di un qualche tipo avendo solo letto in modo superficiale trattati scientifici divulgativi. Gli esempi più eclatanti sono gli antivaccinisti che basano le loro opinioni su uno studio di Wakefield pubblicato su The Lancet qualche anno fa e successivamente ritirato dagli editori quando realizzarono che egli aveva falsificato (non nel senso Popperiano) i suoi dati sperimentali, oppure i fautori del metodo Stamina che basano le loro opinioni su un metodo ideato da un professore di scienze delle comunicazioni, tale Vannoni, risultato alla prova dei fatti un truffatore che approfittava dei drammi personali di intere famiglie.
Nel mondo della comunicazione attuale fa, purtroppo, più notizia, ovvero ha maggiore impatto mediatico, l’eccezione piuttosto che la regola. Infatti, a fronte di una moltitudine di scienziati che adottano il corretto codice etico che impone l’onestà intellettuale, è sempre la minoranza disonesta che fa il rumore maggiore e che getta discredito sulla scienza.
Per fortuna il binomio scienza/metodo è in grado di “autoriparazione”. Nel momento in cui dati sperimentali vengono resi pubblici, essi diventano oggetto di attenzione da parte dell’intera comunità scientifica. Quest’ultima si muove per verificare la validità di ciò che è stato pubblicato così da far emergere eventuali errori volontari o involontari. Nel caso in cui venga evidenziata cattiva condotta scientifica, gli studi vengono ritirati e gli autori severamente puniti.
Gli esempi appena citati, ovvero i casi Wakefield e Vannoni, sono solo due famosi casi di cattiva condotta scientifica. Solo qualche anno fa, all’inizio del XXI secolo, è assurto agli onori delle cronache (scientifiche e non) tale Jan Hendrik Schön.
Nato nel 1970 in Germania, Schön si occupava di fisica dello stato solido ed in particolare di nanotecnologia. In una serie di studi, più di una quindicina, pubblicati sulle prestigiose riviste Nature e Science, Schön si diceva scopritore di un nuovo tipo di transistor molecolare di natura organica. L’impatto tecnologico di un tale tipo di scoperta sarebbe stato sicuramente notevole dal momento che avrebbe consentito la miniaturizzazione di tantissimi apparati elettronici sia per applicazioni ingegneristiche (per esempio in ambito spaziale) che medico. Grazie ai suoi studi Schön ricevette numerosi premi e fu preso in considerazione anche per il Nobel. Tuttavia, come già riportato, la scienza, grazie all’applicazione corretta del metodo scientifico, è in grado di “autoripararsi”. La sedicente scoperta di transistor organici molecolari fece in modo che ricercatori di tutto il mondo si applicassero per comprenderne il funzionamento. Immediatamente fu chiaro che qualcosa non andava per il verso giusto. Fu evidenziato che grafici relativi ad esperimenti diversi pubblicati su riviste differenti erano identici e che erano stati ottenuti ad arte mediante l’uso di opportuni softwares. Schön non fu in grado di giustificarsi ed aggravò la sua posizione affermando, prima, che aveva fatto un banale errore di “copia/incolla”, poi, asserendo (quando gli fu esplicitamente chiesto di far analizzare i propri dati in modo indipendente) di aver cancellato dal proprio hard disk i suoi dati per esigenze di spazio. Appurata la frode scientifica, Schön fu licenziato dai Bell Laboratories presso cui era stato assunto, perse il proprio dottorato di ricerca per cattiva condotta scientifica, e tutti i suoi studi pubblicati su Science e Nature furono ritirati.
Come in ogni storia dal lieto fine, il crimine (anche quello intellettuale legato alla cattiva condotta scientifica) non paga.
Li capisco i giornalisti, sebbene non li giustifichi. In un anno ci sono 365 giorni ed i giornali devono uscire 365 volte all’anno e devono essere venduti. Più si vende e più si guadagna…e più, nella mente della persona comune, si diventa autorevoli: vuoi mettere un “l’ho letto su…”
E ci ricascano sempre. L’hanno fatto con la fusione fredda, l’hanno fatto con la particella Superman (quella più veloce della luce) e ci sono ricascati ora col segnale spaziale attribuito a una civiltà aliena (per es. qui http://www.corriere.it/…/segnale-misterioso-spazio-ufo-6b34…).
Però pur scrivendo che la comunità scientifica aspetta conferme, fomentano quelli che a tutti i costi vogliono pensare che ci siano altri come noi là fuori. Ma mi chiedo: ed anche se ci fossero perché dovremmo pensare che hanno sviluppato una civiltà come la nostra e ci mandano segnali radio? Vabbè…è una domanda retorica che non prevede una risposta.
Ora viene fuori che era una scemenza. Il segnale radio registrato da astronomi russi e attribuito a una qualche civiltà aliena era sì generato da una civiltà, ma la nostra. Si trattava di una interferenza.
Quale ruolo svolgono i legami a idrogeno nel comportamento anomalo dell’acqua?
Tutti sanno cos’è l’acqua. Una molecola di importanza notevole per la vita. Non tutti sanno, però, che l’acqua mostra proprietà particolari quando soluti vengono disciolti in essa. Potrei dire che, in realtà, è patrimonio comune sapere che mettere il sale in acqua ne innalza il punto di ebollizione (innalzamento ebullioscopico) [1] e ne abbassa quello di congelamento (abbassamento criogenico) [2]. In effetti lo sanno tutti che il rimedio per sciogliere il ghiaccio sulle strade innevate è quello di spargere sale [2]. È anche patrimonio comune il fatto che se si mette una bottiglia di vetro piena di acqua in ghiacciaia, questa si rompe. È noto che abbassando la temperatura si ha un espansione del volume dell’acqua liquida [3] che, compressa tra le pareti della bottiglia, ne determina la rottura. Cosa vuol dire, allora, “non tutti sanno che”? Semplicemente che non è noto a tutti che il comportamento anomalo dell’acqua a circa 4 gradi centigradi dipende dalla presenza dei legami a idrogeno [4] che, dovendo rispondere a requisiti geometrici (il legame a idrogeno è di natura lineare), favoriscono l’allontanamento delle molecole di acqua tra loro con aumento degli spazi tra molecole, diminuzione della densità e conseguente aumento di volume. Se dei soluti, come sostanze organiche, sono presenti in acqua, si assiste ad un effetto scenico molto simpatico, ovvero si osserva una compartimentazione della miscela in due fasi: una fase organica (in genere colorata) al centro ed una fase acquosa esterna. Come mai? Ancora una volta i legami a idrogeno hanno un ruolo importante. Man mano che si abbassa la temperatura, le molecole della miscela tendono a”fermarsi” (in termini più opportuni si dice che diminuisce il valore dell’energia cinetica sia delle molecole di acqua che delle molecole di soluto organico). Tuttavia, come è stato evidenziato, i legami a idrogeno sono lineari. Al diminuire della temperatura le molecole di acqua e quelle di soluto non si trovano molto bene assieme. Intendo dire che le molecole di acqua sono certamente più “flessibili” (in quanto più piccole) di quelle del soluto cosicché quest’ultimo fa più fatica a riorientarsi velocemente per mantenere le interazioni a idrogeno con le molecole di acqua. Accade, quindi, che le molecole di acqua espellano quelle di soluto in modo tale da formare legami a idrogeno acqua-acqua più stabili rispetto a quelli acqua-soluto. Il risultato finale è la separazione della fase organica da quella inorganica. Potete fare un esperimento casalingo non pericoloso. Preparate del té e mettetelo in una bottiglia di plastica nel freezer (eviterete, così, la rottura del vetro). Lasciate la bottiglia in freezer, senza disturbarla, per un po’ di tempo ed osserverete quanto vi ho detto. Questo comportamento è stato osservato ed opportunamente misurato nel miele sottoposto a congelamento come si può leggere nel riferimento [5].
Il ruolo dei legami a idrogeno nell’innalzamento ebullioscopico e nell’abbassamento crioscopico verrà spiegato in altre note.
In questi giorni sta circolando in rete una notizia apparsa per la prima volta nel 2015 in merito alla prima morte certificata di un trentunenne per aver ingerito un pomodoro OGM [1]. Secondo questa fonte il giovane sarebbe morto per una reazione allergica ai pomodori contenenti il gene di un pesce. La notizia assomiglia molto alla famosa bufala sulla fragola pesce che negli anni 80 fu presa in considerazione da Mario Capanna. Non è difficile capire che la notizia riportata da worldnewsdailyreport [1] sia una vera e propria sciocchezza. Una rapida ricerca in rete [2, 3] dimostra che non solo non c’è nessun rapporto medico di alcun tipo da nessuna parte, neanche nei siti anti OGM, ma il worldnewsdailyreport è chiaramente un sito satirico esattamente come il nostro Lercio.it. In definitiva se vedete in giro questa notizia consideratela solo come una vecchia barzelletta un po’ macabra.
Non ho mai assistito ad una eclissi solare. Tuttavia chi l’ha fatto è testimone di un fenomeno molto singolare. Infatti, durante le eclissi solari il vento si attenua e cambia direzione [1].
Questa osservazione pare sia stata fatta già tre secoli fa, ma solo oggi è stata data una spiegazione attendibile del fenomeno [2].
Uno studio dei cambiamenti climatici a seguito di una eclissi solare avvenuta nel Marzo 2015 nel Regno Unito [3] ha dimostrato che la suddetta eclissi ha comportato non solo un aumento dell’umidità relativa, ma anche un raffreddamento con una diminuzione di circa un grado Celsius della temperatura al suolo.
Nel momento in cui si ha il raffreddamento per effetto dell’eclissi, l’aria al suolo si raffredda e tende a non andare più verso l’alto. La conseguenza è che non solo cambia la velocità del vento (il raffreddamento dell’aria comporta una riduzione della sua velocità) ma anche la direzione, non più dal basso verso l’alto, ma il contrario.
In definitiva, nessuno spirito maligno, nessun diavolo o dio alterato, ma solo “semplice” fisica.
PS. Spero di aver usato il linguaggio corretto. Non me ne vogliano i meteorologi.
Vi siete mai chiesti come mai si parla tanto di intolleranza al lattosio? Cos’è e come si manifesta?
Il lattosio è uno zucchero; per la precisione si tratta di un disaccaride, ovvero di uno zucchero formato da due altri zuccheri, chiamati monosaccaridi, che, nella fattispecie, sono il D-glucosio ed il D-galattosio legati tra loro attraverso un legame beta, 1-4 glicosidico.
Il lattosio è lo zucchero principale del latte di mucca, capra, asina oltre che del latte umano [1]. La sua funzione è molto importante nei bambini in fase di crescita dal momento che il D-galattosio è implicato nella formazione delle strutture nervose, mentre il D-glucosio è coinvolto nel ciclo di Krebs, ovvero in uno dei processi metabolici più importanti dell’organismo dal momento che è implicato nella respirazione cellulare [2].
La scissione (o idrolisi) del lattosio nelle sue due componenti avviene ad opera di un enzima che si chiama lattasi [3] di cui l’intestino degli esseri umani è provvisto fin dalla nascita. In particolare, l’efficienza della lattasi rimane costante durante tutto il periodo dell’allattamento, diminuendo, poi, progressivamente dallo svezzamento in poi.
Negli individui adulti la lattasi è quasi completamente assente comportando quella che viene indicata come “intolleranza al lattosio”. Infatti, l’assenza (o la scarsa efficienza) dell’enzima fa in modo che il lattosio non venga idrolizzato completamente (o non venga idrolizzato del tutto) nelle sue componenti D-galattosio e D-glucosio. Il lattosio che rimane intatto all’interno dell’intestino subisce processi fermentativi ad opera della flora batterica intestinale e porta alla produzione di gas quali idrogeno, metano ed anidride carbonica oltre ad acidi grassi a catena corta. Gli effetti di questi prodotti sono: meteorismo, distensione addominale, digestione lenta, stanchezza, pesantezza di stomaco, senso di gonfiore gastrico oltre che forti crampi [1].
Un modo per evitare i suddetti problemi è assumere alimenti senza lattosio. Questi si ottengono aggiungendo ad essi la lattasi. Quest’ultima idrolizza il lattosio all’interno degli alimenti stessi rendendoli non solo più adatti a chi è affetto da intolleranza al lattosio, ma anche più dolci a causa della presenza dei due monosaccaridi derivati dal lattosio.
Il diabete è una patologia legata ad una eccessiva concentrazione di glucosio nel sangue. Due possono essere i motivi che portano alla suddetta patologia.
Da un lato, il cattivo funzionamento del pancreas comporta una drastica riduzione dell’ormone insulina deputato alla regolazione dell’utilizzo del glucosio da parte delle cellule (diabete mellito di tipo I) [1]. La conseguenza è un incremento della concentrazione del predetto zucchero nel sangue (iperglicemia) dovuta alla incapacità delle cellule di poterlo utilizzare per la produzione energetica (ciclo di Krebs [2]). Gli eccessi di glucosio vengono eliminati attraverso le vie urinarie e le cellule sono costrette ad attivare vie metaboliche alternative per ricavare l’energia necessaria per la loro sopravvivenza. Una di queste vie alternative sfrutta il catabolismo (ovvero la degradazione) degli acidi grassi [3] con formazione ed accumulo di quelli che si chiamano corpi chetonici [4], ovvero di molecole (appartenenti alla classe dei chetoni come, per esempio, l’acetone) che in alte concentrazioni risultano tossiche per l’organismo (possono portare al coma ed alla morte). Il forte cattivo odore che si sente nell’alito dei malati di diabete di tipo I è proprio dovuto alla presenza di tale molecola (oltre che di un altro paio di esse [4]) nel loro sangue. L’unico modo per evitare i rischi legati al diabete di tipo I è quello di fornire insulina all’organismo che non è in grado di sintetizzarla per conto proprio.
L’altra forma di diabete (diabete mellito di tipo II) [5] è legata o alla scarsa sensibilità all’azione dell’insulina da parte delle cellule adipose e muscolari che non sono, quindi, in grado di “consumare” il glucosio nel sangue per produrre energia e ne determinano un accumulo, o ad una produzione insufficiente di insulina che, quindi, non consente alle cellule di utilizzare al meglio tutto il glucosio assimilato. Questa forma di diabete, che si presenta in età adulta, può essere curata attraverso una dieta controllata, attività fisica e, nei casi più gravi, assunzione di metformina (la molecola la cui struttura è mostrata in foto) [6]. Ad oggi, non si conoscono ancora bene i dettagli della biochimica della metformina, sebbene sembri che essa possa agire a tre livelli differenti: 1. agisce nella regolazione dell’attività di un enzima (il cui nome abbastanza complicato è protein-chinasi AMP-attivata o AMPK) coinvolto nel metabolismo di carboidrati e lipidi; 2. attiva degli enzimi (anche questi dal nome difficile: tirosin-chinasi) il cui “cattivo” funzionamento è collegato alla scarsa sensibilità all’insulina da parte delle cellule adipose e muscolari; 3. inibisce la produzione di glucosio epatico (ovvero il glucosio prodotto dal fegato) attraverso la stimolazione alla produzione di una molecola dal nome ancora più complicato di quelli precedenti: il peptide glucagone simile 1 altrimenti detto anche GLP-1. Proprio perché interviene in diversi processi metabolici, la metformina ha una applicabilità abbastanza trasversale. Per esempio può essere usata come coadiuvante nelle diete per contrastare l’obesità; può essere usata per prevenire (o curare) malattie cardiovascolari come l’ipertensione; può essere utilizzata per la prevenzione dell’aterosclerosi precoce ed addirittura, recentemente, è stata scoperta la sua funzione selettiva nel contrastare lo sviluppo di alcuni particolari tipi di neoplasie (ovvero alcuni tipi di cancro) [7, 8].
Come tutti i farmaci, sia l’insulina (per il diabete di tipo I) che la metformina (per il diabete di tipo II) devono essere usati con cautela e soltanto sotto stretto controllo medico perché un loro abuso può portare a complicazioni notevoli [5-10]
<L’approccio del “risolvere un grande problema trovando le cose microscopiche che sono rotte ed aggiustarle” è chiamato riduzionismo – se si vuole comprendere un sistema complesso, bisogna scomporlo nelle parti che lo costituiscono. Il pensiero riduzionista ha dominato la scienza occidentale per secoli, aiutando l’Occidente a tirarsi fuori dal pantano dell’età medievale. Il riduzionismo può essere una gran bella cosa. Essendo stato bambino all’epoca di Jonas Salk, sono immensamente felice di aver beneficiato di un prodotto della scienza riduzionista, ovvero il vaccino scoperto da lui (o da Albert Sabin, ma non ci addentriamo in questo argomento), invece di aver avuto un pediatra che facesse una cerimonia su di me armato di ciondoli feticci e interiora di capra per propiziarsi il demone della polio. Gli approcci riduzionisti alle scienze mediche ci hanno fornito vaccini, farmaci che bloccano fasi specifiche della replicazione virale e hanno identificato precisamente quale parte di noi si guasta in moltissime malattie. È grazie al riduzionismo se, nel corso dell’ultimo secolo, la nostra aspettativa di vita è aumentata considerevolmente. Perciò, se si vuole comprendere la biologia del ciò che siamo […], l’approccio riduzionista fornisce regole del gioco piuttosto chiare: capire gli individui che formano la società; capire gli organi che costituiscono gli individui, le cellule che formano gli organi e, scendendo fino alle fondamenta dell’intero edificio, capire i geni che danno istruzioni alle cellule su cosa fare. Questa prospettiva ha dato luogo a un’orgia di ottimismo riduzionista nella forma del progetto di ricerca più dispendioso della storia delle scienze naturali, ovvero il sequenziamento del genoma umano>
Era il 2005 quando Robert M. Sapolsky scriveva nell’introduzione al suo “Monkeyluv: and other essays on our lives as animals”, che nella traduzione italiana de I Timoni – Castelvechi editori (2014) suona così: “l’uomo bestiale: come l’ambiente e i geni costruiscono la nostra identità“, quanto ho appena riportato.
Il suo elogio del riduzionismo è la base per evidenziare come ridurre il comportamento umano alla risultante lineare dei comportamenti dei geni contenuti nel DNA sia sbagliato. L’approccio più corretto è prendere in considerazione l’effetto combinato di geni ed ambiente. Insomma, usando un linguaggio più pop, la comprensione dell’uomo passa attraverso un approccio “olistico” che deve considerare tutto l’insieme, interno ed esterno, di ciò che caratterizza l’essere umano.
Non sono un neurofisiologo né un osservatore del comportamento umano; non sono in grado di sostenere o controbattere le argomentazioni di Sapolsky nel suo campo. Per questo mi addentro nel campo che mi è più congeniale che è quello chimico.
Indubbiamente scomporre un sistema complesso nelle sue singole componenti ha consentito l’enorme sviluppo scientifico degli ultimi 4 secoli. Se oggi sappiamo quante sono le forze che tengono insieme i nostri atomi e, nel loro complesso, l’insieme di atomi alla superficie terrestre, è perché qualcuno è andato a smontare la materia ed ha visto da cosa è composta.
L’approccio riduzionista è quello che ha permesso lo sviluppo di tecniche analitiche come la cromatografia in fase liquida o quella in fase gassosa; la risonanza magnetica nucleare ad alta e bassa risoluzione, e tutta una serie di tecniche oggi riconosciute come incomparabili per la valutazione della qualità degli alimenti o per la loro tracciabilità (questo tanto per stimolare la corda più populista di chi si preoccupa di sapere se l’olio extravergine che usa è tunisino o viene fatto raccogliendo le olive dietro casa).
Tuttavia, sebbene fin dagli albori della scienza ai giorni nostri ha prevalso l’idea che le proprietà di tutti i sistemi fossero comprensibili solo sulla base di una loro scomposizione nelle diverse componenti elementari e che la somma delle proprietà di ciascuna risultasse, in qualche modo, nelle proprietà dell’intero sistema, appare chiaro, oggi, che non è così. Usando un linguaggio matematico, si può dire che le proprietà dei sistemi complessi non sono una combinazione lineare delle proprietà delle singole componenti, quanto, piuttosto, la risultante delle loro interazioni non lineari. Le eventuali relazioni lineari debbono essere considerate solo come caso particolare di quello più generale che si inquadra nella già citata relazione non lineare.
Un esempio abbastanza banale è il principio di Le Chatelier: quando un sistema all’equilibrio chimico viene perturbato per effetto di un’azione esterna, il sistema reagisce in maniera da ridurre o annullare la sollecitazione stessa ristabilendo l’equilibrio. Per esemplificare questa definizione prendiamo un composto A che, in una soluzione, è in equilibrio con il composto B secondo l’equazione:
dove n e m sono i coefficienti stechiometrici. Il sistema sotto osservazione contiene due componenti (A e B) che interagiscono tra loro in modo tale che aumentando la concentrazione del reagente A, la reazione si sposta a destra producendo una maggiore quantità di prodotto B. Allo stesso modo introducendo una certa quantità di B, la reazione si sposta verso sinistra portando alla formazione di A.
Pur sapendo che il sistema è fatto da due componenti le cui proprietà possono essere studiate indipendentemente le une dalle altre, non possiamo dire che il comportamento del sistema nella sua totalità sia dato dalla combinazione lineare della concentrazione delle singole componenti (la concentrazione è una proprietà intensiva). Infatti, è possibile dimostrare che la relazione che lega la concentrazione di A a quella di B all’equilibrio chimico è:
dove k è comunemente indicata come costante di equilibrio (la x indica semplicemente l’operazione di moltiplicazione).
Possiamo concludere, da questo semplice esempio, che l’equilibrio chimico (croce di tutti gli studenti e delizia di tutti i docenti) non è altro che una proprietà delle soluzioni, emergente dalle interazioni non lineari delle proprietà (in questo caso la concentrazione) delle singole componenti della soluzione.
La storia della scienza (e, nella fattispecie, della chimica in particolare) è ricca di esempi di questo tipo.
Volendo considerare un caso più complesso si può citare l’allosterismo. “L’allosterismo rappresenta una delle modalità di regolazione della funzione di alcune proteine, di solito oligomeriche, […]; fra queste si ricordano l’emoglobina e numerosi enzimi”. Originariamente proposta da Jaques Monod, la regolazione allosterica delle proteine consiste nel fatto che un piccolo metabolita si lega ad uno dei siti attivi della proteina modificandone la conformazione (ovvero la struttura tridimensionale) ed alterandone nel contempo le funzionalità (sia migliorandole, allosterismo positivo, che inibendole, allosterismo negativo). L’esempio più semplice è la regolazione allosterica positiva dell’emoglobina da parte della molecola di ossigeno. È noto che l’emoglobina è una proteina complessa costituita da quattro sub unità proteiche ognuna con un sito attivo che prende il nome di “gruppo eme“. Quando una molecola di ossigeno si lega al gruppo eme di una delle sub unità, la conformazione di questa sub unità si modifica secondo una modalità che potrebbe essere vista come una mano che si chiude a pugno dopo aver afferrato un oggetto. Le modificazioni conformazionali della sub unità suddetta modificano quelle delle altre sub unità che appaiono, quindi, nella nuova situazione come delle mani più aperte pronte ad afferrare un nuovo oggetto. Grazie a queste modificazioni conformazionali, la seconda molecola di ossigeno è in grado di legarsi al secondo sito attivo più velocemente di quanto abbia fatto la prima molecola di ossigeno. A seguito di questa seconda interazione, le sub unità ancora libere subiscono delle ulteriori modificazioni conformazionali aprendosi ancora di più e permettendo ad una terza molecola di ossigeno di legarsi ancora più velocemente rispetto alle prime due. La terza molecola di ossigeno induce dei nuovi cambiamenti conformazionali nell’ultima sub unità libera cosicché essa riceve l’ultima molecola di ossigeno con una facilità ancora maggiore rispetto alle precedenti. Da un punto di vista matematico l’allosterismo dell’emoglobina non è descrivibile mediante una relazione lineare, bensì attraverso una sigmoidale (Figura 1).
Come nel caso dell’equilibrio chimico su descritto, anche l’allosterismo non può essere considerato semplicemente come la risultante di una combinazione lineare delle proprietà delle singole sub componenti di un enzima/proteina, quanto piuttosto come una proprietà emergente dalle loro interazioni non lineari.
Tutta la chimica (dalla chimica organica, alla biochimica, alla chimica del suolo e così via) è ricca di sistemi complessi le cui proprietà emergono dalle interazioni tra le singole sub unità componenti. Come non ricordare, per esempio, la complessità del metabolismo in cui ogni singolo metabolita rappresenta solo un dente di un ingranaggio ben più complicato le cui caratteristiche non sono la somma di quelle dei singoli denti, ma da essi derivano. In questa ottica va inserito il concetto di vita vista come una proprietà che emerge dalle complesse interazioni occorrenti nei processi metabolici.
Qual è dunque l’importanza del riduzionismo nell’ottica scientifica attuale?
Il riduzionismo deve essere, quindi, considerato come un approccio che consente non solo di conoscere i singoli dettagli della realtà fisica fino alle dimensioni microscopiche, ma anche in grado di riporre le varie sub componenti della stessa nella giusta posizione rispetto a tutte le altre in modo da poter riprodurre con accuratezza le proprietà macroscopiche dell’intero sistema rappresentato dalla realtà osservata. In questa ottica il giudizio (secondo la mia lettura, negativo) di Sapolsky in merito alla dispendiosità del progetto di ricerca sul genoma umano mi lascia molto perplesso. È pur vero che la conoscenza del genoma non risponde a tutte le domande che ci possiamo porre in merito al comportamento umano, ma è anche vero che attribuire ai geni la responsabilità di ogni cosa è solo una trovata di un giornalismo di bassa lega che deve fare business e vendere un prodotto a un pubblico le cui conoscenze scientifiche sono mediamente basse. Si tratta dello stesso pubblico che ha necessità di trovare delle correlazioni di causalità laddove esistono solo relazioni di casualità come nel caso dell’omeopatia e dell’autismo causato dai vaccini. Mi trovo, invece, molto d’accordo sull’idea dell’interazione corredo genetico/ambiente nello sviluppo del comportamento umano in quanto questo modo di pensare si inserisce molto bene nel modello di riduzionismo emergentista di cui si è discusso fino ad ora.
Naturale è buono? Le sostanze tossiche di origine vegetale
Quante volte si sente dire che naturale è buono e chimico è cattivo? In realtà non tutto quello che viene sintetizzato in natura è “buono” nell’accezione che oggi noi diamo a questo aggettivo. Un esempio molto banale è quello delle piretrine (la figura che accompagna questa Pillola è la struttura base di queste sostanze).
Le piretrine sono delle molecole che vengono sintetizzate nei processi metabolici di alcune piante. Nella fattispecie si trovano in alcuni crisantemi. Sì, proprio i fiori che nel nostro mondo vengono usati per addobbare le tombe nel giorno dei morti, mentre nel mondo orientale (il Giappone per quanto mi è dato sapere) sono simbolo di gioia e felicità.
Passando al linguaggio scientifico, le piante da cui vengono estratte le piretrine sono del genere Chrysantherum. La pianta che è più ricca di piretrine è la Chrysanterum cinerariaefolium coltivata in diversi paesi tra cui il maggior produttore sembra essere il Kenia.
Le piretrine agiscono alterando la trasmissione assonale dell’impulso nervoso bloccando in questo modo le funzioni vitali degli insetti. In effetti quello che si verifica è che gli insetti che entrano a contatto con queste molecole vengono immediatamente paralizzati. Non è una bella morte devo aggiungere. Ma non è questo il punto. Pur essendo tossici per gli insetti, le piretrine mostrano una tossicità per gli animali superiori che sembra essere abbastanza bassa. Per esempio la dose letale media per i topi è di circa 500 mg/kg. Supponiamo che questa sia anche la dose letale media per l’essere umano. Quel numero significa che per arrivare ad avere degli effetti tossici, un individuo del peso di 80 kg deve ingerire circa 40 g di piretrine. Non è facile. Ovvero, non lo è per i consumatori di frutta e verdura. Può esserlo per gli agricoltori che nella loro attività fanno uso di queste che vengono definite sostanze naturali .
Come si vede dalla foto allegata, queste molecole hanno un ciclo a tre atomi di carbonio. Questa parte della molecola rende le piretrine facilmente degradabili. Infatti, il loro tempo di residenza medio nei suoli è di circa un paio di giorni. Dopo tale periodo esse sono totalmente decomposte ed il loro effetto tossico finisce. Ecco spiegato il motivo per cui un consumatore medio difficilmente può essere intossicato da queste molecole.
Interessante vero? Beh, questo è il fascino di quella che si chiama “chimica delle sostanze naturali”. Si tratta di una branca della chimica che studia la struttura e le proprietà delle molecole che vengono sintetizzate come metaboliti secondari nelle piante e negli animali. E’ facile capire che la presenza delle piretrine tra i metaboliti secondari delle piante sia un vantaggio evolutivo. Solo le piante che sono in grado di sintetizzare questi metaboliti sono in grado di “difendersi” dagli insetti predatori e, di conseguenza, sopravvivere in natura. Si tratta, in definitiva, di molecole che fanno parte dello scudo difensivo che viene usato dagli esseri viventi nell’eterna lotta per la sopravvivenza.
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