Acque micellari. Il ruolo del marketing e la comunicazione scientifica

Recentemente, in questo blog, ho riproposto una brevissima nota sulle acque micellari; una nota che avevo scritto già un po’ di tempo fa su facebook. Ha avuto un successo di pubblico notevole dal momento che ha raggiunto più di 57000 utenti (Figura 1).

Figura 1. Successo di pubblico per la nota sulle acque micellari

Nonostante l’evidenza scientifica sul ruolo che svolgono questi prodotti cosmetici, che è la medesima dei saponi, c’è stata una sòrta di sollevazione popolare. Da un lato sono state fatte considerazioni pseudo scientifiche sul modo in cui ho comunicato una cosa che ai miei occhi – e non solo – appare abbastanza ovvia; dall’altro è stata invocata a gran voce la necessità di rispettare ogni opinione, anche quelle che danno contro ogni evidenza e modello di carattere scientifico. La cosa bella è che questa sollevazione è avvenuta in gruppi e pagine  popolati da scettici o, quanto meno, presunti tali. Questo significa che queste persone dovrebbero farsi qualche domanda in più rispetto a quello che è il modo di pensare complottistico. Evidentemente non è così e quando le bufale toccano la propria sfera personale, si alza un muro che impedisce ad ognuno di noi di essere razionale.

Le Figure 2 e 3 mostrano uno spaccato delle diverse tipologie di contestazioni cui la mia nota ha dato luogo.

Figura 2. Considerazioni pseudo scientifiche
Figura 3. Considerazioni ad personam

A questo punto rientro nel mio ruolo chimico ed utilizzerò un linguaggio tecnico così da puntualizzare l’incongruenza di quanti si sono sentiti toccati in prima persona da considerazioni che avevano il solo scopo di evidenziare che il marketing manipola informazioni serie adattandole ai desiderata del mercato.

Il mercato lo facciamo tutti noi. Se siamo impreparati o se non siamo in grado di capire ciò che leggiamo, siamo noi i responsabili in prima persona della propagazione di sciocchezze, notizie infondate e bufale.

Tensioattivo o surfattante?

Nelle mie note ed elucubrazioni faccio uso dei due termini “surfattante” e “tensioattivo” in modo assolutamente libero. In italiano essi sono sinonimi. Del resto basta andare on line e ricercare il termine “surfattante” nella enciclopedia Treccani per trovare la seguente definizione

surfattante agg. e s. m. [dall’ingl. surfactant, acronimo della locuz. surf(ace) act(ive) a(ge)nt «agente superficialmente attivo»]. – Sinon., meno com., di tensioattivo”.

Micelle o non micelle? Questo è il problema

Non è parte dei programmi di studio di tutti i chimici. Per esempio io ho affrontato questi problemi quando mi sono impegnato nella ricerca sulla chimica delle sostanze umiche ed ho avuto necessità di approfondire la chimica fisica delle interazioni deboli. All’epoca studiai un bellissimo libro dal titolo The hydrophobic effect: formation of micelles and biological membranes” (autore Tanford, anno 1980, Editore Wiley intescience) in cui si riporta chiaramente il meccanismo della formazione di emulsioni olio/acqua. Una emulsione è una dispersione di piccole goccioline di olio in acqua (in realtà la definizione è un poco più complessa, ma mi sto soffermando solo sulla miscela che ci interessa per rispondere alle critiche che contestano quanto ho scritto nella nota sull’acqua micellare). Queste goccioline si formano per effetto di due “forze” contrastanti. Da un lato le molecole che costituiscono l’olio  sono anfifiliche (ovvero hanno una testa polare ed una coda apolare), dall’altro le molecole di acqua sono polari. La solubilizzazione di un soluto in un solvente è una vera e propria reazione chimica che segue il seguente percorso:

soluto-soluto → 2 soluto

solvente-solvente → 2 solvente

soluto + solvente → soluto-solvente

In altre parole, le molecole di soluto interagiscono tra loro, esattamente come fanno quelle di solvente. Perché il soluto si possa “sciogliere” nel solvente è necessario che esso si solvati, ovvero venga “circondato” da molecole di solvente. A tale scopo si devono rompere le interazioni soluto-soluto e solvente-solvente per la formazione di interazioni soluto-solvente. Questo è possibile solo se le interazioni soluto-solvente sono della stessa natura o più forti di quelle solvente-solvente e soluto-soluto. Essendo le molecole di olio anfifiliche, mentre quelle di acqua polari, si può qualitativamente dire che l’interazione tra queste due tipologie di molecole non è conveniente. Per questo motivo le molecole di olio tendono ad “isolarsi” da quelle di acqua formando delle goccioline. Come sono fatte queste goccioline? Sono fatte da una parte interna in cui interagiscono tra loro tutte le componenti più idrofobiche e da una superficie esterna dove sono localizzate le componenti più polari che possono “sopportare” la presenza dell’acqua. Si realizza, cioè, una situazione simile a quella descritta in Figura 4.

Figura 4. Struttura di una gocciolina di olio. La componente interna è isolata dalle molecole di acqua esterne da una superficie costituita dalla componente più polare delle molecole di olio.

Come è fatta una micella? Esattamente nello stesso modo. Senza scomodare il Tanford citato sopra, una micella è definita, nell’enciclopedia Treccani, come

aggregato in soluzione acquosa di molecole anfifiliche; le catene idrofobe idrocarburiche si trovano all’interno e i gruppi idrofili (polari o ionici) all’esterno in contatto con il solvente.

In altre parole, non c’è nessuna bestialità in quanto ho scritto. Mi rendo conto, tuttavia, che chi non ha molta familiarità con la chimica di questi sistemi complessi possa essere stato tratto in inganno.

Frittata con uova di gallina o con uova di storione?

Una delle critiche che mi sono state mosse è nell’aver detto che i surfattanti sono tutti uguali tanto è vero che qualcuno ha scritto: “Anche le uova di gallina sotto sale sono caviale, laddove per uovo, in senso lato si intende una cellula gametica aploide”.

Non sono un biologo, ma se prendo la definizione di uovo nell’enciclopedia Treccani trovo che uovo è

In biologia, il gamete femminile costituito da una cellula di varie dimensioni (detto perciò anche cellula uovo), di forma per lo più sferica, ellissoidale o cilindrica, che si origina generalmente nell’ovario e ha accumulati, nel suo citoplasma, materiali nutritizî di riserva (tuorlo o vitello o plasma nutritivo) per lo sviluppo dell’embrione

Lascio al lettore la libertà di leggere per intero la definizione di “uovo” nell’enciclopedia al link già inserito. Tuttavia, a me sembra di capire che non c’è differenza alcuna nella definizione di uovo di storione, gallina o struzzo. Sono tutte uova. Ci sono anche ricette di frittate di uova di storione. Si veda per esempio qui. Che le acque micellari siano in tutto e per tutto acqua e sapone, non è un errore. Il meccanismo di funzionamento dei saponi è il medesimo e l’effetto sulla pulizia della pelle anche.

Possiamo usare un tensioattivo per il forno a scopo cosmetico?

Non sono mancati commenti pseudo ironici del tipo:  “Ma infatti, stasera andate a casa, e struccatevi col fornet, tanto sempre detergente è, anche quello ha le micelle”. I prodotti per uso topico sono surfattanti come quelli del prodotto per la pulizia dei fornelli, ma devono rispettare dei requisiti di anallergicità e atossicità che quelli per i fornelli non hanno. Quindi, la battuta non fa tanto ridere. Non seguite questo consiglio perché rischiereste di farvi veramente male.

Relazione struttura-attività

Una delle critiche che mi sono state fatte è quella che riporto qui sotto:

“Io credevo di trovare un articolo ben più “scientifico”, in questo caso quelle poche righe sono aria fritta. Non si parla di concentrazioni, proporzioni, nulla. Lo posso dire anche io che ho fatto un esame di Chimica Organica in cui ho letto mezza pagina su come agisce un sapone che “acqua micellare” contiene la parola “micelle” che sono una proprietà dei saponi allora “acqua micellare” = “acqua e sapone”. Ma effettivamente non è così. La pelle non si deterge meglio con l’acqua micellare che con acqua e sapone solo perchè si è fermamente convinti che lo faccia. Se due animali perfettamente identici ma che volano uno a 3 metri dal suolo e uno a 4 possono essere due specie diverse, non vedo perchè due composizioni chimiche differenti con evidenti effetti differenti non possano essere, appunto, due robe differenti.”

Chi ha scritto queste cose sta cercando di dire che “acqua e sapone” e “acqua micellare” sono due cose diverse. In realtà, come ho già detto, non è così. Il meccanismo di funzionamento delle acque micellari è lo stesso dei saponi e, più specificatamente, dell’acqua e sapone. La differenza, se proprio ne vogliamo trovare una, è la concentrazione di surfattante Le acque micellari sono prodotti che io definisco “saponi omeopatici” per effetto del fatto che la quantità di tensioattivo è molto più bassa che in un sapone normale.

Le critiche continuano:

“Comunque è quantomeno antiscientifico (nella Galileana concezione del termine) da parte di laureati ammettere che anche se ci sono ingredienti in più “è la stessa cosa”. Se addirittura il semplice orientamento nello spazio conferisce a due molecole identiche proprietà diverse, perché due miscele (miscele si intenda nel più volgare possibile, poiché non vorrei incappare in uso di termini errati) con ingredienti diversi devono essere la stessa cosa?”

“Spiego il termine “Galileana concezione”. Un vero scienziato, non si figurerebbe mai di semplificare due cose alla stessa cosa. Anzi, si chiederebbe perché due composti apparentemente simili hanno azioni così diverse. Pensate applicato alla cura del cancro: direste mai che due cose sono uguali se hanno la stessa composizione ma una cura il cancro e l’altra no? Direste che è marketing? Oppure vi chiedereste perché?”

Da chimico posso dire con certezza che le elucubrazioni appena riportate sono una miscela di cose verosimili e cose chiaramente insensate sotto l’aspetto scientifico. Mi sembra evidente che la critica cerca di spostare l’attenzione all’isomeria conformazionale ovvero ad un tipo particolare di isomeria per cui due molecole che sono descritte dalla stessa identica formula bruta, hanno tuttavia una struttura differente per effetto della diversa orientazione nello spazio di uno o più gruppi funzionali. Per saperne di più potete andare al seguente link. Faccio un esempio molto banale considerando il talidomide (Figura 5).

Figura 5. Strutture enantiomeriche del talidomide. La figura è presa da www.chimicare.org

Si tratta di una molecola in cui uno degli atomi di carbonio ha quattro sostituenti diversi. Grazie a ciò, esso può esistere in due forme isomeriche (più correttamente si dovrebbe dire enantiomeriche) di cui una, la forma indicata con S ha effetti teratogeni (in parole semplici interferisce col normale sviluppo del feto ed una delle conseguenze è la focomelia), mentre l’altro, l’isomero R, non ha lo stesso effetto. Quest’ultimo, in particolare, interviene nei processi metabolici associati alla nausea, attenuandola. Negli anni Sessanta del ventesimo secolo questa molecola era il principio attivo di un farmaco anti nausea per donne gravide. Fu ritirato dal commercio perché il farmaco conteneva entrambi gli isomeri e provocò la nascita di più di 10000 (diecimila) bimbi focomelici. Oggi questo principio attivo è usato per la cura di diverse patologie invalidanti. Ma non è questo il punto. Il punto è che le due molecole mostrate in Figura 5 non sono uguali. Pur avendo la stessa formula bruta e pur avendo lo stesso nome, hanno attività biochimica e proprietà differenti per cui esse sono differenti. Non sono la stessa molecola. E’ questo il motivo per cui è necessario andare a differenziare le due molecole indicando nel loro nome le caratteristiche ottiche che le contraddistinguono. Al contrario del talidomide e degli isomeri conformazionali, acque micellari e saponi sono esattamente la stessa cosa. Entrambi contengono dei surfattanti che hanno esattamente la stessa funzione, ovvero la rimozione dello sporco.

Una incomprensione del concetto struttura-attività si riscontra anche nella considerazione secondo cui: “applicato alla cura del cancro: direste mai che due cose sono uguali se hanno la stessa composizione ma una cura il cancro e l’altra no? Direste che è marketing? Oppure vi chiedereste perché?“. Due cose chimicamente uguali non possono avere effetti biochimici differenti. A questo punto credo che il lettore si sarà convinto sulla base dell’esempio fatto prima descrivendo brevemente la chimica del talidomide. Allo stesso modo due miscele identiche curano entrambe la stessa particolare tipologia di cancro. Se una delle due miscele non funziona è perché non è adatta a quella particolare forma di cancro per cui è stata utilizzata.

Le acque micellari e loro composizione

In una delle tante risposte alla mia nota, c’è chi ha inserito la fotografia mostrata in Figura 6. Lo scopo era quello di far vedere che le acque micellari sono diverse dai saponi. Devo dire che questa cosa mi ha lasciato molto perplesso. Se io voglio difendere la mia causa e voglio far vedere che una cosa è differente da un’altra, non inserisco solo gli ingredienti di ciò che cerco di difendere, ma anche quelli della cosa che reputo differente.

Figura 6. Etichetta di un’acqua micellare proposta da un utente per dimostrare la differenza tra acque micellari e saponi

Ricopio qui quanto magistralmente scritto nel sito www.chimicamo.org:

I saponi sono sali solubili di acidi grassi quali l’acido oleico, l’acido stearico, l’acido palmitico, l’acido laurico e l’acido miristico. I saponi sono caratterizzati da una parte idrofoba costituita da una lunga catena carboniosa e da una parte idrofila costituita dal gruppo funzionale dell’acido carbossilico. Le soluzioni acquose di sapone si comportano come dispersioni colloidali a carattere micellare e sono dotate di reazione alcalina in seguito al grado di idrolisi del sapone nell’acqua. I saponi abbassano la tensione superficiale dell’acqua favorendo la stabilità e la formazione della schiuma. L’azione detergente è dovuta a diversi fattori tra cui l’attività capillare della soluzione acquosa che imbeve il tessuto staccandone lo sporco che viene allontanato dalla schiuma.

Quindi come si comportano i saponi in acqua? Formano micelle, ovvero sistemi chimici come quelli illustrati in Figura 4. E come funzionano le micelle fatte dalle componenti su citate? In modo semplicistico, le micelle fatte da aggregati degli acidi grassi riportati in Figura 7 non fanno altro che “intrappolare” le molecole che costituiscono la “macchia” permettendone l’allontanamento con l’acqua.

Figura 7. Acidi grassi i cui sali sodici sono tipicamente presenti nei saponi

Quando vi lavate le mani con una saponetta, oppure usate un sapone liquido cosa state facendo? Semplicemente state facendo interagire le componenti dei saponi con l’acqua in modo tale che si formino delle micelle. Queste ultime abbassano la tensione superficiale dell’acqua permettendo un migliore contatto tra l’acqua e la vostra pelle. Vi strofinate le mani in modo tale da permettere alle micelle a stretto contatto delle mani di interagire con lo sporco. Sciacquate le mani per allontanare le micelle che hanno “intrappolato” lo sporco.

Come funzionano le acque micellari? Tralasciando l’enorme quantità di profumi ed eccipienti vari che hanno il solo scopo di darvi una sensazione di “pelle liscia”, l’azione detergente è del tutto simile a quella descritta per i saponi. Le micelle possono essere fatte non dai sali degli acidi grassi riportati in Figura 7, ma dai gliceridi (mono, di, e tri) che li contengono. Per esempio, la composizione dell’acqua micellare riportata in Figura 6 riporta la presenza di gliceridi contenenti acido caprico (C10H20O2) e caprilico (C8H16O2) oltre che PEG 6 (PEG è l’acronimo di polietilenglicole che – questa è solo una curiosità – io utilizzavo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta come supporto solido per la sintesi in fase solida di oligonucleotidi ciclici. Come si vede il PEG è un tipico prodotto di sintesi che può avere diversi utilizzi. Si tratta del classico prodotto di sintesi che viene spacciato come naturale nelle acque micellari a loro volta considerate prodotti naturali o, comunque, più naturali dei saponi).

Per inciso il PEG 6 capric/capryl gliceride costa 1 euro ogni 25 g di prodotto. Tuttavia come indicato nella sua scheda di sicurezza è tutt’altro che un prodotto innocuo:

Non è un prodotto cosmetico pronto all’uso. Non deve essere utilizzato direttamente. Se non correttamente manipolato, può presentare controindicazioni e /o pericoli per la persona. Conservare lontano dalla portata dei bambini, fonti di calore, umidità e luce diretta. Evitare di inalare. Conservare a temperatura ambiente nel contenitore originale. Proteggere dal freddo e dal caldo eccessivi, non esporre ai raggi diretti del sole. Non utilizzare dopo la data di scadenza indicata. Non disperdere nell’ambiente il contenitore una volta esaurito il prodotto. Il prodotto contiene solo componenti biodegradabili. Nella diluizione indicata il prodotto non interferisce con gli impianti di trattamento delle acque reflue.

Conclusioni

Indipendentemente da quello che potete pensare, da un punto di vista chimico acque micellari e saponi sono prodotti che funzionano nello stesso modo. Se diluite un sapone liquido, lo applicate ad un batuffolo di ovatta e lo usate per pulirvi un pezzettino di pelle, avrete un effetto pulente del tutto analogo a quello di un’acqua micellare. L’effetto irritante che sentite quando usate un sapone tout court è legato alla sua concentrazione. Diluendolo, ne attenuate anche gli effetti. Del resto, leggendo la storia delle acque micellari, si evince che esse sono nate proprio per questo ad opera degli estetisti al lavoro sulle modelle durante le sfilate di moda. Per evitare gli effetti irritanti dovuti all’uso dei saponi, hanno pensato bene di diluire gli stessi. Poi sono arrivati i chimici coadiuvati dai pubblicitari che hanno esaltato proprietà che, in realtà, sono tipiche di tutti i surfattanti.

In definitiva, comprate quello che vi pare ma sappiate che state comprando semplicemente acqua e sapone.

Fonte dell’immagine di copertina: http://it.paperblog.com/review-acqua-micellare-lycia-3134640/

Fonte dell’immagine di chiusura: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Thats_all_folks.svg

Sull’evoluzione del termine “molecola”

Tutti sanno cos’è una molecola. Se si scende in strada e si chiede a qualcuno di definire il termine “molecola”, tutti, più o meno, diranno qualcosa come “molecola è l’acqua” oppure “la plastica è fatta di molecole” oppure “il sale è una molecola”.

Dire che l’acqua è una molecola, ribadire che anche il sale lo sia o dire che la plastica è fatta di molecole non definisce il termine “molecola”; piuttosto si sposta l’attenzione da un termine ad un altro dal momento che si riconduce il significato di “molecola” a quello di acqua, sale o plastica.

Se è nozione comune sapere cosa sia l’acqua e come essa sia fatta – per cui si tende ad associare la formula H2O al significato di “molecola” in modo tale che tutto ciò che è riconducibile a una situazione analoga possa essere considerato “molecola” – non lo è altrettanto per quanto riguarda la plastica o il sale. Per esempio, qual è la “molecola” che descrive il cloruro di sodio? E il solfato di sodio? E il permanganato di potassio? Questi sono tutti sali differenti tra loro. Ognuno di essi è descritto da una diversa formula bruta. Si può considerare la singola formula bruta (NaCl, Na2SO4, KMnO4, rispettivamente) come indicazione di molecola per i sali citati, esattamente come la formula H2O viene intuitivamente indicata come molecola di acqua?

E per la plastica? Solo per citare alcune delle plastiche che utilizziamo nella vita quotidiana, si può parlare di polivinilcloruro (PVC), polietilene (PE) e politetrafluoroetilene (PTFE). Le formule brute di questi sistemi sono rispettivamente (CH2CHCl)n, (C2H4)n e (C2F4)n. Queste formule appena descritte possono essere considerate alla stregua di “molecole” come la formula H2O lo è per l’acqua?

In realtà nessuna delle definizioni che spostano l’attenzione dal generale (ovvero “molecola”) al particolare (ovvero acqua, sale, plastica) è una buona definizione di molecola. Solo per fare un esempio banale, NaCl non è la molecola di cloruro di sodio.

Mentre per l’acqua, la formula H2O corrisponde ad una struttura ben precisa fatta da due atomi di idrogeno ed uno di ossigeno disposti nello spazio a formare un tetraedro (come nella figura di copertina di questa nota), per il cloruro di sodio (ma il discorso si estende ad ogni sale inorganico), la formula NaCl non corrisponde affatto ad una struttura fatta da uno ione sodio ed uno ione cloruro. Anzi, potrei dire, semplificando, che ogni ione (sia esso sodio che cloruro) è circondato da una nuvola di ioni di segno opposto. Ogni ione della nuvola occupa posizioni ben precise nello spazio tridimensionale a formare un reticolo che si estende all’infinito.

Una estensione infinita nello spazio tridimensionale è anche descrivibile per le plastiche. Il pedice “n” nelle formule brute scritte sopra indica proprio che la lunghezza della catena di atomi di carbonio è praticamente “infinita” potendo il valore di “n” essere compreso tra 0 ed infinito.

Alla luce di quanto sto scrivendo ne viene che una “molecola” di sale o una di plastica dovrebbero avere estensioni infinite. È possibile una cosa del genere?

Se si apre un qualsiasi libro di chimica generale del primo anno di università o un testo base usato nelle scuole superiori si trova una definizione molto chiara:

“una molecola è la più piccola particella di una sostanza che conserva intatte le proprietà chimiche e fisiche dell’intera sostanza ed è costituita da almeno due atomi, oppure da un gruppo di essi, tenuti assieme da forze chimiche”.

Rileggete la definizione e provate a riflettere. Non trovate ci sia qualcosa di strano in questa definizione?

Quando si parla di proprietà di una sostanza si intende una proprietà di massa.

L’acqua bolle a 100 °C. Non la singola H2O, bensì  un insieme di H2O. È  la massa di acqua ad avere quella temperatura di ebollizione ad una data pressione, non la singola H2O. Per quest’ultima non ha alcun senso definire un punto di ebollizione. In effetti, usando un linguaggio più moderno, potremmo dire che la temperatura di ebollizione dell’acqua (o di qualsiasi altro sistema chimico) altro non è che una proprietà emergente dall’interazione tra più sistemi del tipo H2O.

Lo stesso discorso si applica ai sali ed alle plastiche. Il PTFE ha un punto di fusione di circa 327 °C. Questa temperatura emerge dall’interazione tra diversi filamenti del tipo (C2F4)n. Il singolo filamento non ha una temperatura di fusione, esattamente come la singola H2O non ha una temperatura di ebollizione.

La definizione di “molecola” appena proposta considera anche due o più atomi tenuti assieme da forze chimiche. Ma quali forze?  Le interazioni tra due atomi o gruppi di atomi sono non solo interazioni covalenti, ma anche ioniche, legami a idrogeno e forze di Van der Waals. Quale di queste interazioni dobbiamo prendere in considerazione per la definizione di “molecola”?

Si potrebbe dire: atteniamoci alla vecchia distinzione proposta da Gilbert Lewis più di un secolo fa in base alla quale molecole sono tutte quelle in cui gli atomi interagiscono mediante legami covalenti, mentre altri sistemi, come i sali, sono identificati come solidi ionici non molecolari.

I gruppi chimici, ovvero le particelle con struttura ben definita, interagenti mediante forze di Van der Waals come devono essere classificati?

Pensiamo alle macchine molecolari. Queste le definiamo come aggregati supramolecolari (ovvero fatti da tante subunità) che interagiscono tra loro mediante legami deboli (legami a idrogeno e forze di Van der Waals) in grado di far emergere certe particolari proprietà. Perché non considerare tutto l’insieme, a cui si associano le proprietà emergenti, come intera molecola? Perché non considerare l’emoglobina, una delle macchine molecolari più semplici, come una unica unità molecolare piuttosto che come un sistema complesso fatto da diverse subunità ognuna delle quali non ha alcuna delle proprietà dell’insieme?

In realtà possiamo farlo. Nessuno ci impedisce di estendere il significato di “molecola” ad aggregati di subunità. È quanto suggerisce Whitesides in un suo lavoro su Annual Reviews of Analytical Chemistry.

“Molecola” è un termine che non deve essere inteso in modo fisso ed immutabile. Esso deve essere considerato in continua evoluzione in funzione del progredire delle conoscenze scientifiche. Il termine può essere usato semplicemente come una abbreviazione per consentire al pensiero chimico di elaborare nuovi concetti e nuove idee su scale sempre più vaste.

Ed allora cos’è una molecola? Potremmo dire che si tratta di una unità elementare in cui sono presenti atomi o gruppi ben definiti di particelle che interagiscono in qualsiasi modo così da realizzare delle ben precise proprietà emergenti.

Alla luce di questa definizione l’emoglobina è una molecola così come lo è la doppia elica del DNA o una qualsiasi macchina molecolare. Andando nell’ambito ambientale, anche le sostanze umiche, che sono state definite come aggregati supramolecolari di molecole di peso molecolare non superiore a 5000 Da, possono essere considerate a tutti gli effetti delle vere e proprie molecole.

Altre letture

What is a molecule? by Philip Ball

Fonte dell’immagine di copertina: Wikimedia commons

Radar e carote. Quando le bufale aiutano a vincere la guerra

Radar e carote. Cosa c’entrano radar e carote gli uni con le altre? E perché le sciocchezze, oggi indicate col termine “bufala”, aiutano a vincere la guerra?

In realtà si tratta di un aneddoto che risale al secondo conflitto mondiale e che ha coinvolto scienza e scienziati in relazione al fatto che gli anni immediatamente precedenti la guerra sono stati ricchi di scoperte scientifiche nel campo biochimico. Fu infatti tra gli anni Venti e Trenta del Ventesimo secolo che venne individuato il ruolo di molte vitamine tra cui la vitamina A o retinolo.

Si scoprì che precursore di questa molecola, importante anche nei processi chimici legati alla visione (una rappresentazione di tale processo è nella figura di copertina), era il beta-carotene, molecola contenuta in parecchi alimenti di origine vegetale, tra cui le carote.

La seconda guerra mondiale conta diversi episodi di coraggio e tantissime innovazioni tecnologiche. Una di queste fu l’invenzione del radar  che, durante la battaglia d’Inghilterra, fu risolutivo per la sconfitta della Luftwaffe e la determinazione dell’andamento della guerra.

Ed allora cosa c’entrano radar e carote? In che modo sono correlati tra di loro?

Si narra che i Tedeschi fossero alla ricerca dei motivi per cui i piloti della RAF (Royal Air Force) fossero superiori a quelli della Luftwaffe. I primi pare sapessero anticipare le mosse dei secondi potendo colpirli ed abbatterli in tempi molto rapidi. Il trucco era nell’uso della tecnologia del radar che consentiva di “vedere” gli aerei nemici molto tempo prima del loro arrivo nei pressi delle bianche scogliere di Dover.

Ma c’era la guerra. Il radar ed il suo innovativo uso in campo bellico doveva essere protetto. Non si poteva permettere che una tale tecnologia cadesse nelle mani del nemico.

Cosa inventò il controspionaggio Inglese? Approfittando delle delucidazioni biochimiche in merito ai processi della visione e dal ruolo svolto dal beta-carotene come precursore del retinolo, le spie Inglesi sparsero la voce che la superiorità in battaglia del piloti della RAF fosse dovuta alla loro alimentazione a base di carote. Esse consentivano il potenziamento della vista dei militari che, per questo, erano in grado di individuare gli aerei nemici con largo anticipo rispetto al loro arrivo sulle coste Britanniche.

Non si sa se i Tedeschi abbiano abboccato ad una simile sciocchezza. In ogni caso, ancora oggi sia le mamme Inglesi che quelle Tedesche hanno una predilezione per le carote come alimento principe per la nutrizione dei loro pargoli.

Per saperne di più 

Le carote e la vista

La biochimica della visione

Fonte dell’immagine di copertina http://www.oilproject.org/lezione/come-funziona-la-vista-sono-utili-carote-beta-carotene-5280.html

La chimica e le bufale. Il caso del pediluvio detossificante

Negli anni Novanta fu pubblicizzato – e venduto a caro prezzo – un sistema terapeutico per detossificare l’organismo.  Veniva chiamato “pediluvio detossificante” o anche “acqua detox”.

Cos’è  il pediluvio detossificante?

Si tratta di un semplice catino – dalla forma più o meno appariscente – in cui versare acqua, qualche sale, immergere i piedi e far passare la corrente. Il risultato di questo trattamento è la soddisfazione dell’utente che si sente meglio perché le sue “tossine” sono passate all’acqua nel catino per effetto del passaggio di corrente. Come prova di efficacia, l’acqua si colora di un colore bruno rossastro ed emana un odore di cloro più o meno intenso. L’odore di cloro è associato all’eliminazione del cloro dall’organismo.

Bello vero? Chi può credere a una cosa del genere? Devo dire che di boccaloni ce ne sono molti e molti ritengono che questo approccio consenta il miglioramento della propria salute perché le bioenergie vengono indirizzate meglio per effetto della fuoriuscita delle tossine.

Ma cosa accade in realtà?

Qui ci viene in aiuto la chimica; l’elettrochimica a voler essere precisi.
Prima però voglio evidenziare che il termine “bioenergia” usato dagli ideatori di questo pediluvio detossificante non ha alcun significato. È la classica parola ad effetto scenico che serve per prendere all’amo gli stupidi o, più politically correct, quelli che di chimica e scienza non sanno nulla. Ed aggiungo che maggiore è la propria ignoranza scientifica, più elevata è la stima e la considerazione che questi individui hanno di sé e delle proprie conoscenze.

Andiamo avanti.

Anche se dovrebbe essere nozione comune – sebbene da quello che leggo in rete non necessariamente è così perché l’ignoranza chimica, in particolare, e quella funzionale più in generale, dilagano – l’acqua è un ottimo conduttore di corrente. Perché, tuttavia, l’acqua possa operare come conduttore di corrente è necessario che essa contenga disciolti dei sali. Il movimento degli ioni all’interno della soluzione, quando viene applicata una differenza di potenziale, è associato al passaggio di corrente di cui dicevo. Se l’acqua non contiene ioni, ovvero sali disciolti, al massimo orienta il suo dipolo lungo la direzione del campo elettrico applicato, ma non c’è passaggio di corrente.

Gli ideatori del pediluvio detossificante questo lo sanno bene. Ed infatti suggeriscono l’addizione di sali all’acqua del pediluvio detossificante affermando che bisogna utilizzare “ioni attivi”. Anche questa è tutta scenografia. Il termine “ioni attivi” non significa nulla sotto il profilo chimico.

Continuiamo

Gli elettrodi usati per il pediluvio detossificante sono di ferro. In presenza di acqua e sali cosa accade? In realtà i sali servono per la corrente, ciò che accade e che consente la colorazione dell’acqua e viene associato all’eliminazione di tossine è a carico dell’ossigeno e dell’anidride carbonica disciolti.

Adesso faccio il chimico. Ecco quanto accade:

4Fe +3O2 + 6H2O → 4Fe(OH)3

2Fe(OH)3 → Fe2O3 ∙ 3H2O↓

2Fe(OH)3 + 3CO2 + 3H2O → Fe2(CO3 )3 ↓ + 3H2O

In altre parole il ferro metallico viene ossidato ad idrossido ferrico che a sua volta si trasforma in ossido ferrico idrato solido. L’idrossido ferrico reagisce anche con l’anidride carbonica disciolta per formare un carbonato ferrico solido. La miscela bruno-rossastra a forma di piccole scaglie è dovuta alla miscela di questi due composti solidi.

Ma c’è di più

Non mi sono dimenticato dell’odore di cloro. L’acqua del catino del pediluvio detossificante contiene cloruri sia di origine minerale che aggiunti sotto forma di sali. Il passaggio di corrente permette l’ossidazione dello ione cloruro a gas cloro da cui il tipico odore che si sente.

Conclusioni

Usate pure il pediluvio detossificante spendendo i vostri soldi come vi pare. Ma sappiate che non viene eliminata alcuna tossina. Tutto quello che vedete è una serie di processi elettrochimici. Se dopo il trattamento vi sentite meglio non è perché siete purificati, ma semplicemente è effetto placebo legato al fatto che non ammetterete mai di aver speso soldi – fossero anche pochi euro –  facendovi prendere in giro da degli imbonitori che vi hanno venduto il più classico olio di serpente.

Per saperne di più

La bufala del pediluvio detossificante fu scoperta dal Dr. Goldacre ed è descritta in modo semplice in B. Goldacre,  2013, La cattiva scienza, Bruno Mondadori ed.

Se volete sapere qualcosa sui processi di corrosione: http://www.chimica-online.it/download/corrosione.htm

Fonte dell’immagine di copertina: http://www.newliferadio.it/pediluvio-ionico-informazioni-essenziali/

Acqua micellare. Ancora sulla dicotomia marketing/chimica

Questo è un post che ho scritto sulla mia pagina Facebook a Marzo 2016. Ero in viaggio ed ascoltavo distrattamente la televisione, quando sentii parlare di “acqua micellare”. Mi sono subito incuriosito ed ho fatto una veloce ricerca in rete per capire di cosa stessero parlando in televisione. Da qui in poi riporto quanto scritto un anno fa.

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Potenza del marketing. Sono in viaggio e vagando qui e là mi è capitato di ascoltare un po’ di televisione. Uno spot pubblicitario dedicato alle donne esaltava le proprietà di un prodotto cosmetico chiamato “acqua micellare”. La mia curiosità chimica ha preso il sopravvento e mi sono chiesto cosa mai fosse questa cosa di cui non avevo mai sentito parlare.

Devo dire che, come chimico, so cosa sia una micella. Semplicisticamente, una micella non è altro che un aggregato supramolecolare in cui molecole con certe proprietà sono tenute insieme da interazioni di Van der Waals. Non si tratta di parolacce. Vuol solo dire che tante molecole anfoteriche, ovvero che hanno una estremità polare ed una coda apolare, quando sono in acqua ad una certa concentrazione, indicata come concentrazione micellare critica (CMC), tendono ad aggregarsi in modo tale che tutte le code apolari si mettono insieme ed escludono le molecole di acqua che tendono a rimanere vicine alle estremità polari. Si dimostra matematicamente che questo arrangiamento è favorito per fattori di carattere energetico. Ma non è il caso di andare oltre. Molecole che hanno questo comportamento sono, per esempio, i trigliceridi presenti nell’olio. Avete hai mescolato olio e acqua? Beh, fatelo. Osserverete la formazione di gocce di olio. Sono micelle. Altre molecole simili sono quelle che compongono i saponi. Ebbene, col termine di “acqua micellare” si intende proprio acqua e sapone. In altre parole, vi fanno pagare a peso d’oro delle formulazioni cosmetiche che altro non sono se non il classico “acqua e sapone” delle nostre nonne.

fonte dell’immagine di copertina: Wikimedia commons

Marketing e Chimica: quando la pseudo scienza prende il sopravvento

Devo dire che molte volte me le vado a cercare.
Letteralmente.
Mi piace camminare e mi piace leggere le etichette dei prodotti esposti in vetrina, soprattutto se si tratta di alimenti o prodotti per la pulizia. Mi lascia sempre esterrefatto quanto poco il marketing faccia per elaborare slogan che siano un minimo rispettosi delle conoscenze scientifiche. In questa breve nota voglio puntare l’attenzione su marketing e chimica.

Nelle mie peregrinazioni alla ricerca di perle di saggezza pseudo scientifica, mi capita talvolta di entrare nei negozi biologici. Sì, quei negozi col “bio” in evidenza perché “fa bene”. Secondo i creduloni new age il “bio” fa bene alla salute. Secondo me, che sono un credulone scientifico, fa bene alle tasche di chi vende. La foto di copertina ne è una prova lampante.

In uno dei negozi di una nota catena “bio” cosa trovo? Un caffè biologico. Passi per il biologico che è una pratica agronomica sostenibile, benché io abbia le mie idee al riguardo. Ma leggere nell’etichetta che questo caffè è decaffeinato ad acqua senza l’uso di solventi chimici e quindi è naturale, mi sembra veramente troppo. È una offesa personale per tutti quelli che vanno a scuola e cercano di imparare i rudimenti di una qualsiasi materia scientifica.

Mi piacerebbe chiedere ai produttori di questo caffè: “ma secondo voi, l’acqua che cos’è? Non è un prodotto chimico e non è il solvente per eccellenza?”

Sono sicuro che i signori mi risponderebbero che l’acqua è sicuramente più naturale dei solventi organici, dimostrando una profonda ignoranza in due modi distinti. Da un lato, l’acqua che noi beviamo non è naturalmente pura. Noi abbiamo bisogno di sanificarla perché altrimenti essa potrebbe essere veicolo di micro organismi patogeni per l’uomo con la conseguenza di possibili epidemie o anche pandemie.
Ho già scritto una nota al riguardo al seguente link.

Insomma, l’acqua che noi usiamo come alimento non è certo come essa sgorga dalle sorgenti, ma è trattata. E sono sicuro che anche l’acqua usata per la decaffeinizzazione lo sia. Il secondo punto che denota profonda ignoranza è che sono anni che il caffè non viene più decaffeinato con solventi organici. Oggi, proprio per evitare residui seppur minimi di solventi organici, il caffè viene decaffeinato con anidride carbonica supercritica. Si tratta di un particolare stato della materia per cui questa molecola che a temperatura ambiente è un gas, in condizioni particolari di pressione e temperatura diventa qualcosa a metà fra un liquido ed un gas. In queste condizioni, l’anidride carbonica estrae la caffeina con una efficienza superiore a quella di un qualsiasi solvente organico. Il vantaggio è che, quando si torna nelle condizioni di pressione e temperatura atmosferici, tutto il solvente super critico si allontana e non ne rimane traccia alcuna.

Morale della storia. Se volete divertirvi a leggere stupidari chimici, andate a passeggiare in uno qualsiasi dei negozi “bio” in giro per l’Italia. Ne troverete delle belle. In ogni caso il marketing sconclusionato, secondo me, è molto dannoso. È vero che il business prevede di fare soldi, ma non dovrebbe mai essere a discapito dell’etica che dovrebbe imporre la diffusione di informazioni corrette.

Per saperne di più:

Il processo di decaffeinizzazione

I cristalli temporali. Quelle bizzarre forme della materia

Non stiamo vivendo un’avventura del Dr. Who e nemmeno siamo in un episodio di Star Trek.  I cristalli temporali esistono per davvero.

Un cristallo è un sistema solido in cui le singole componenti (molecole, atomi o ioni) occupano delle posizioni spaziali ben definite che si ripetono periodicamente nelle tre dimensioni dello spazio cartesiano (indichiamole per semplicità con xyz).

L’unità strutturale più piccola  la cui trasposizione nello spazio dà luogo ai cristalli si chiama cella unitaria. Se un materiale è formato da celle orientate tutte nello stesso modo, viene identificato come monocristallino; se le celle sono orientate in più direzioni diverse,  viene indicato come policristallino.

Se il concetto di cristallo si riferisce alla geometria spaziale “ordinata” di un sistema solido, cosa sono i cristalli temporali?

Nel 2013 Nature ha pubblicato una notizia ai limiti della fantascienza [1] in cui vengono riassunti i punti principali di una teoria di Frank Wilczek già premio Nobel per la fisica nel 2004  “for the discovery of asymptotic freedom in the theory of the strong interaction“. 

Wilczek, propone l’esistenza di cristalli, ovvero di materiali solidi, il cui “ordine” si estende non solo nelle tre dimensioni spaziali, ma anche in quella del tempo. Egli li chiama “cristalli temporali”.

Facciamo un esempio semplice cercando di usare un linguaggio quanto meno tecnico possibile.

Tutti sanno che la corrente elettrica è dovuta al movimento degli elettroni all’interno di un filo metallico. Durante il loro spostamento, gli elettroni incontrano una resistenza dovuta alla presenza dei nuclei degli atomi che compongono il filo. Se, però, il filo viene immerso in un gas liquido ad una temperatura vicina allo zero assoluto (- 273 °C), i movimenti vibrazionali dei nuclei si oppongono meno efficacemente agli elettroni consentendo a questi ultimi una sòrta di “moto perpetuo”.

La circolazione degli elettroni in una spira (che in linguaggio tecnico si chiama solenoide) immersa in elio liquido consente di generare un campo magnetico permanente che può essere usato per diversi scopi. Uno di questi è la risonanza magnetica nucleare. Essa può essere usata sia per ottenere spettri per l’identificazione delle caratteristiche strutturali delle molecole, che per ottenere immagini per scopi diagnostici.

Un solenoide immerso in elio liquido, grazie alla sua capacità di condurre la corrente senza resistenza, si chiama superconduttore.

In un esperimento mentale, Wilczek suggerisce che se si inducono delle interazioni nelle particelle di un solenoide superconduttore, senza che venga persa la proprietà di superconduzione, si può formare un nuovo stato della materia che egli chiama “solitone”. I solitoni, ovvero gli aggregati delle particelle suddette, sono in grado di oscillare periodicamente in modo tale che dopo un certo tempo (indichiamolo con t) essi ritornano nella loro posizione di partenza. Si realizza in t ciò che di solito siamo abituati a vedere in xyz.

Cosa vediamo quando osserviamo un sistema cristallino? Vediamo semplicemente una sequenza di questo tipo: ABCDABCDABCD…

ABCD è la cella cristallina. Essa è dotata di una certa forma. Per esempio, in modo semplicistico, si può trattare di un tetraedro. Il tetraedro si ripete nello spazio conferendo al materiale solido quella che noi definiamo struttura cristallina.

Se ora pensiamo che ABCD è un solitone, ovvero un aggregato di particelle di un superconduttore, possiamo dire che esso ha una proprietà particolare: è in grado di oscillare nel tempo, ovvero di muoversi, in modo tale che dopo ogni periodo t lo si ritrova di nuovo nella sua posizione. Si realizza quindi ABCDABCDABCD… in cui lo sviluppo non è più nello spazio xyz, ma nel tempo t.

L’esperimento mentale di Wilczek è diventato realtà. L’8 Marzo di quest’anno (2017) è stata pubblicata su Nature la realizzazione dei cristalli temporali [2]. Un gruppo di ricerca Statunitense ha generato un solitone fatto di Itterbio che ha mostrato le proprietà “cristallografiche” descritte da Wilczek.

Il futuro è vicino.

Riferimenti

  1. Piers Coleman, 2013, Time crystals, Nature, 493: 166-167
  2. Zhang et al., 2017, Observation of a discrete time crystal, Nature, 543, 217 –220

Immagine di copertina: Reticolo cristallino del cloruro di sodio, Wikimedia commons

Le frodi scientifiche ovvero quando la scienza produce le “bufale” – II –

Le frodi scientifiche ovvero quando la scienza produce le “bufale”

La “scienza” è un complesso corpo di conoscenze attraverso le quali si cerca di comprendere i meccanismi alla base del comportamento del mondo nel quale noi ci muoviamo. Essa si fonda su delle regole precise che costituiscono quello che viene comunemente indicato come “metodo scientifico”.

Semplicisticamente, il metodo scientifico consiste nell’osservazione dei fatti, nella formulazione di ipotesi che possano spiegare i fatti osservati, nell’usare l’ipotesi per predire il comportamento di ciò che si osserva, nel riprodurre l’osservabile per capire se l’ipotesi è verosimile oppure no, nel rigettare l’ipotesi se essa viene falsificata dagli esperimenti condotti per comprenderne la validità.

La solidità del binomio “scienza/metodo” si fonda sulla onestà intellettuale di tutti gli “attori” che sono chiamati alla costruzione delle conoscenze scientifiche. La cattiva condotta scientifica, ovvero la disonestà intellettuale, si realizza quando:

1. Dati e risultati sperimentali vengono fabbricati ad hoc
2. Dati, procedure sperimentali e macchinari vengono manipolati scientemente per cambiare od omettere volutamente parte delle prove ottenute
3. Idee, dati, risultati sperimentali e spiegazioni altrui vengono usati consapevolmente senza le opportune citazioni delle fonti
4. La documentazione atta alla verifica della validità delle ipotesi formulate viene scientemente tenuta nascosta o, peggio ancora, distrutta.

Non viene considerato come “cattiva condotta scientifica” l’involontario errore commesso nella realizzazione degli esperimenti e nella interpretazione degli stessi.

Il cattivo comportamento di pochi elementi oltre a generare riprovazione in tutti coloro che sono assetati di conoscenza, può indurre la costruzione di una pseudo scienza che, facendo leva sul “confirmation bias”, è in grado di scatenare orde di fanatici che pensano di poter apportare contributi di un qualche tipo avendo solo letto in modo superficiale trattati scientifici divulgativi. Gli esempi più eclatanti sono gli antivaccinisti che basano le loro opinioni su uno studio di Wakefield pubblicato su The Lancet qualche anno fa e successivamente ritirato dagli editori quando realizzarono che egli aveva falsificato (non nel senso Popperiano) i suoi dati sperimentali, oppure i fautori del metodo Stamina che basano le loro opinioni su un metodo ideato da un professore di scienze delle comunicazioni, tale Vannoni, risultato alla prova dei fatti un truffatore che approfittava dei drammi personali di intere famiglie.

Nel mondo della comunicazione attuale fa, purtroppo, più notizia, ovvero ha maggiore impatto mediatico, l’eccezione piuttosto che la regola. Infatti, a fronte di una moltitudine di scienziati che adottano il corretto codice etico che impone l’onestà intellettuale, è sempre la minoranza disonesta che fa il rumore maggiore e che getta discredito sulla scienza.

Per fortuna il binomio scienza/metodo è in grado di “autoriparazione”. Nel momento in cui dati sperimentali vengono resi pubblici, essi diventano oggetto di attenzione da parte dell’intera comunità scientifica. Quest’ultima si muove per verificare la validità di ciò che è stato pubblicato così da far emergere eventuali errori volontari o involontari. Nel caso in cui venga evidenziata cattiva condotta scientifica, gli studi vengono ritirati e gli autori severamente puniti.

Gli esempi appena citati, ovvero i casi Wakefield e Vannoni, sono solo due famosi casi di cattiva condotta scientifica. Solo qualche anno fa, all’inizio del XXI secolo, è assurto agli onori delle cronache (scientifiche e non) tale Jan Hendrik Schön.

Nato nel 1970 in Germania, Schön si occupava di fisica dello stato solido ed in particolare di nanotecnologia. In una serie di studi, più di una quindicina, pubblicati sulle prestigiose riviste Nature e Science, Schön si diceva scopritore di un nuovo tipo di transistor molecolare di natura organica. L’impatto tecnologico di un tale tipo di scoperta sarebbe stato sicuramente notevole dal momento che avrebbe consentito la miniaturizzazione di tantissimi apparati elettronici sia per applicazioni ingegneristiche (per esempio in ambito spaziale) che medico. Grazie ai suoi studi Schön ricevette numerosi premi e fu preso in considerazione anche per il Nobel. Tuttavia, come già riportato, la scienza, grazie all’applicazione corretta del metodo scientifico, è in grado di “autoripararsi”. La sedicente scoperta di transistor organici molecolari fece in modo che ricercatori di tutto il mondo si applicassero per comprenderne il funzionamento. Immediatamente fu chiaro che qualcosa non andava per il verso giusto. Fu evidenziato che grafici relativi ad esperimenti diversi pubblicati su riviste differenti erano identici e che erano stati ottenuti ad arte mediante l’uso di opportuni softwares. Schön non fu in grado di giustificarsi ed aggravò la sua posizione affermando, prima, che aveva fatto un banale errore di “copia/incolla”, poi, asserendo (quando gli fu esplicitamente chiesto di far analizzare i propri dati in modo indipendente) di aver cancellato dal proprio hard disk i suoi dati per esigenze di spazio. Appurata la frode scientifica, Schön fu licenziato dai Bell Laboratories presso cui era stato assunto, perse il proprio dottorato di ricerca per cattiva condotta scientifica, e tutti i suoi studi pubblicati su Science e Nature furono ritirati.

Come in ogni storia dal lieto fine, il crimine (anche quello intellettuale legato alla cattiva condotta scientifica) non paga.

Letture consigliate

http://medbunker.blogspot.it/2009/11/vaccini-wakefield-vaccini-autismo-e.html

http://medbunker.blogspot.it/2013/09/staminali-vannoni-capitolo-chiuso-ora.html

http://www.nature.com/news/2002/020923/full/news020923-9.html

http://www.americanscientist.org/bookshelf/pub/physics-and-pixie-dust

http://www.science20.com/science_20/jan_hendrik_schön_world_class_physics_fraud_gets_last_laugh_whole_book_about_himself

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Jan_Hendrik_Schön

 

Giornalisti giornalai

Giornalisti giornalai

Li capisco i giornalisti, sebbene non li giustifichi. In un anno ci sono 365 giorni ed i giornali devono uscire 365 volte all’anno e devono essere venduti. Più si vende e più si guadagna…e più, nella mente della persona comune, si diventa autorevoli: vuoi mettere un “l’ho letto su…”

E ci ricascano sempre. L’hanno fatto con la fusione fredda, l’hanno fatto con la particella Superman (quella più veloce della luce) e ci sono ricascati ora col segnale spaziale attribuito a una civiltà aliena (per es. qui http://www.corriere.it/…/segnale-misterioso-spazio-ufo-6b34…).

Però pur scrivendo che la comunità scientifica aspetta conferme, fomentano quelli che a tutti i costi vogliono pensare che ci siano altri come noi là fuori. Ma mi chiedo: ed anche se ci fossero perché dovremmo pensare che hanno sviluppato una civiltà come la nostra e ci mandano segnali radio? Vabbè…è una domanda retorica che non prevede una risposta.

Ora viene fuori che era una scemenza. Il segnale radio registrato da astronomi russi e attribuito a una qualche civiltà aliena era sì generato da una civiltà, ma la nostra. Si trattava di una interferenza.

Qui la notizia alla sbufalata:
http://tass.com/science/896683

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